di David Cronenberg (Canada, 1983)
“Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, orecchie e nervi, in realtà non abbiamo più diritti”. Parole profetiche di un influente sociologo e filosofo canadese, Marshall McLuhan, il quale già a metà degli anni sessanta parlava di tecnologia come estensione e potenziamento delle facoltà umane. “Videodrome” di David Cronenberg parte da qui ed è il film che riformula il percorso del regista in ambito body horror, stavolta però concepito come messaggio, denuncia e provocazione in un’ottica cyberpunk, un fantaincubo sospeso tra realtà e finzione.
Max Renn (un ottimo James Woods) è il direttore di una piccola emittente televisiva privata che cerca di attirare il pubblico con filmati violenti e pornografici. La scoperta del segnale pirata Videodrome (che trasmette immagini di omicidi e torture) lo conduce all’interno di un piano pericolosissimo: il programma causa infatti nello spettatore l’alterazione della percezione della realtà, fino allo sviluppo di masse tumorali. Questo è solo un abbozzo di trama, perché il film si apre di continuo verso nuovi scenari, contemplando appunto il body horror (con alcune memorabili sequenze splatter) e il cyberpunk, ma anche il cinema degli snuff movie e il thriller.
Un’opera completa quindi, che traduce in avanguardia le inquietanti rivelazioni di cui sopra, ormai lanciate verso il punto di non ritorno in un decennio dove il tubo catodico aveva già inchiodato alla poltrona le famiglie americane (“ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione” è la frase pronunciata da Brian O’Blivion, inquietante personaggio del film che appare solo in tv). Praticamente una forma subdola di manipolazione che plasma la mente (e il corpo) delle persone, un’amara constatazione che oggi ha trovato la sua nuova dimensione nel mondo dei social network, piattaforme virtuali nelle quali l’individuo più influenzabile modella la sua quotidianità in base a ciò che richiede la comunità con cui condivide i suoi post. Lo step ulteriore di una base concettuale che Cronenberg ci illustra minuziosamente tra le immagini dell’opera, una discesa plumbea e apocalittica nella nuova carne, immersa all’interno di una cupa fotografia e di uno score musicale gelido e onnipresente (molto valido il lavoro di Howard Shore).
“Videodrome” è anche cinema del complotto: la cospirazione che mira a eliminare tutti gli individui affascinati dal sangue e dalla violenza è una critica che il regista dirige verso quel puritanesimo di censori e benpensanti che tanto lo avevano attaccato per le sue produzioni passate. Un film che ci riguarda da vicino, alla luce del significato liberatorio che il cinema di confine offre ai suoi adepti, uno sguardo simbolico o realistico sulle brutture della vita ma anche il modo migliore per esorcizzarle, proprio come asserisce Max Renn in una delle prime battute dell’opera.
La pellicola, rispetto ai precedenti lavori del regista, si rivela più criptica e cerebrale, mettendosi in stretta connessione con i futuri “Crash” (1996) ed “eXistenZ” (1999) anche per una esemplare potenza concettuale, sicuramente più forte della sceneggiatura stessa. Ma “Videodrome” resta intoccabile sul piedistallo dei prodotti più perversi e allucinati di fine secolo, da considerare come un vero punto di partenza nella filmografia del regista, dapprima legata a tematiche più terrene come la pandemia sessuale (“Il Demone Sotto La Pelle” e “Rabid”) o la degenerazione psichica (“The Brood” e “Scanners”) ma mai interessata a considerare il lato oscuro della tecnologia, quello che decreta i mass media come religione, non come mezzo di intrattenimento. E’ anche vero che nel 1983 si assiste a un radicale cambiamento nella società: ormai la corsa del progresso supera il tempo stesso, sottomettendolo al suo volere e plasmando le masse a suo piacimento.
L’influenza del film è devastante, durante la fine di quel decennio si contano numerosi b-movie devoti al lavoro cronenberghiano (“TerrorVision” nel 1986, “The Brain” nel 1988), senza dimenticare le suggestioni di “Ring” (1998) di Hideo Nakata o i tanti riferimenti in ambito musicale (da Aphex Twin ai Nine Inch Nails, fino ai Fear Factory e agli Strapping Young Lad che hanno intitolato un loro brano “All Hail The New Flesh”). Gloria e vita alla nuova carne!
(Paolo Chemnitz)