Tokyo Gore Police

tokyo gore policedi Yoshihiro Nishimura (Giappone, 2008)

Yoshihiro Nishimura si occupa da sempre di effetti speciali. La sua mano è presente in “Rubber’s Lover” (1996), “Suicide Club” (2001), “Meatball Machine” (2005) e in tantissimi altri titoli del cinema giapponese di confine. Ma ormai da oltre un decennio, insieme a quell’altro folle di Noboru Iguchi, è anche considerato un regista di culto in ambito J-splatter, una corrente molto apprezzata dal pubblico più giovane e ben supportata dalla Nikkatsu (che produce questo tipo di pellicole grazie alla sua divisione Sushi Typhoon). Un mix delirante di body horror, action, gore, trash e (sotto)cultura pop, realizzato con un budget ridotto ma capace di sopperire con l’immaginazione e la fantasia ai limiti di forma e di sostanza. Lo stile è molto grafico e i riferimenti al passato si sprecano (citazioni che vanno da Cronenberg a Tsukamoto), ma il minestrone qui perde ogni valenza autoriale puntando esclusivamente sull’intrattenimento. Se così nel 2008 Iguchi partorisce “The Machine Girl”, Nishimura dirige quello che ancora oggi è considerato uno dei film simbolo dell’intero movimento, “Tokyo Gore Police” (“Tôkyô Zankoku Keisatsu”).
In un imprecisato futuro prossimo, la polizia è stata sostituita da una società privata che combatte quotidianamente contro i cosiddetti engineers, feroci assassini che riescono a mutare mostruosamente il corpo per via di un tumore che si riproduce nel loro organismo. Ruka, una engineer hunter rimasta orfana e adottata dal boss della polizia, individua il capo di queste creature, ma resta a sua volta contagiata dall’infezione: i poteri della sua mutazione si manifestano nel momento cruciale del film, quando la protagonista, in un’orgia di violenza, decide di vendicare la brutale uccisione del padre naturale avvenuta tanti anni prima. Un plot che scompare letteralmente dopo una manciata di minuti, fagocitato dalle sequenze splatter e da una serie di personaggi fumettistici, colorati (e spesso mutilati!), i quali fanno la loro comparsa per poi svanire sommersi da ettolitri di sangue. “Tokyo Gore Police” va avanti così, si chiude una scena e se ne apre un’altra, un videoclip a cui manca una vera struttura narrativa ma che riesce comunque a divertire, nonostante il minutaggio eccessivo (110 minuti, troppi).
YearlySelfassuredHousefly-size_restrictedRuka è interpretata da Eihi Shiina: molti di voi la ricorderanno nei panni della timida Asami in “Audition” (1999), un cambiamento di ruolo drastico che qui comunque non intacca minimamente le qualità recitative della brava attrice nipponica. Un altro punto a favore è rappresentato dai finti spot pubblicitari che compaiono nel film (girati da Noboru Iguchi e Yudai Yamaguchi), uno dei quali è a dir poco memorabile. Ci riferiamo a quello delle lamette per tagliare i polsi, con protagoniste alcune adolescenti entusiaste di un prodotto veramente cool. Solo i giapponesi potevano arrivare a tali livelli di follia, dopotutto l’idea del suicidio al cinema non era mai stata così pop e accattivante!
“Tokyo Gore Police” si riduce quindi a un insieme di lampi che folgorano lo sguardo (impossibile non pensare alla donna coccodrillo), un lavoro a cui manca l’amalgama e lo script ma che almeno resta bene impresso a fine visione. Un manifesto splatter che ha lasciato un’impronta importante all’interno del circuito underground del Sol Levante, di questi tempi non è poco.

3,5

(Paolo Chemnitz)

tokyo g p

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