di Simon Rumley (UK/Stati Uniti, 2010)
Rosso, bianco e blu. Non si tratta della trilogia di Krzysztof Kieślowski, ma dei colori della bandiera del Texas. Proprio in questo stato, nei sobborghi di Austin, il regista inglese Simon Rumley ambienta questo film in trasferta, un revenge movie tra i migliori visti nel decennio corrente.
Se con il precedente “The Living And The Dead” (2006) Rumley mostrava una regia convulsa e nevrotica, qui il suo approccio muta sensibilmente, anche nel modo in cui ci vengono presentati i personaggi. L’incipit a tal proposito è molto eloquente: luci al neon, un locale, una donna (Erica, una bravissima Amanda Fuller), alcuni ragazzi che se la scopano dopo averla conosciuta pochi minuti prima. Tutto questo senza dialoghi, lasciando scorrere immagini e movimenti.
Erica è promiscua, si concede a chiunque (solo una volta per ogni uomo, perché è anaffettiva e non si innamora di nessuno), ma è portatrice di HIV. Ha contagiato Franki (Marc Senter), che con i suoi balordi compari vuole rintracciarla a qualunque costo per vendicarsi, senza sapere che le sue azioni lo condurranno verso un baratro devastante: egli infatti dovrà fare i conti con Nate (Noah Taylor), un ex veterano dell’Iraq (con tendenze psicopatiche) disposto a tutto pur di difendere la protagonista. Un triangolo di violenza che si risolve nel modo più amaro possibile, con gli ultimi quaranta minuti del film che cambiano marcia sbattendoci in faccia odio, dolore e rancore, un compendio di emozioni viscerali che esplodono in una scena catartica di una potenza assoluta, l’apice di un climax costruito con grande intelligenza e mai premendo il piede sull’acceleratore.
“Red White & Blue” non corre, anzi si dimostra statico e avvolgente, soprattutto nella prima parte. Il regista utilizza più volte il campo lungo proprio per immergere il nostro sguardo in quei luoghi privi di anima, nei quali l’unico divertimento è il sesso oppure mettere su una band e fare un po’ di baldoria con gli amici. Il Texas sonnolento, la provincia americana che nasconde una ferocia repressa nei suoi abitanti, una crudeltà capace di scatenarsi all’improvviso come in una formula matematica. Precisa, spietata e immutabile.
Poi c’è la malattia onnipresente, lo spettro invisibile dell’AIDS (trasmesso anche in famiglia a una madre col tumore), un nemico trasversale che muove tutte le pedine in gioco, persone ai margini della società che si annullano a vicenda, nonostante quel fragile equilibrio raggiunto da Erica e Nate, una solitudine condivisa e sofferta che non lascia trasparire neppure un sorriso. Tre colori, tre individui, un numero perfetto sul quale Rumley lavora per sottrazione, privandoci di qualunque patina superflua per fare spazio a un pathos vendicativo che riempie ogni dannato fotogramma, ogni sospiro, prendendo forma nelle immagini e negli sguardi terrorizzati delle vittime.
“Red White & Blue” a fine visione lascia davvero qualcosa, perché è un dramma disturbante, annichilente, costruito per fare male anche allo spettatore. Insieme al già citato “The Living And The Dead”, rappresenta l’apice creativo di un regista talentuoso ed eclettico, anche in fase di sceneggiatura. Cinema di confine da non perdere.
(Paolo Chemnitz)