Dag Och Natt

dag och nattdi Simon Staho (Svezia/Danimarca, 2004)

Questo film è un conto alla rovescia: “Thomas Ekman, un individuo di 40 anni, un rispettato architetto e uomo di famiglia, si è sparato alle 20:03 con una pistola Walther GSP comprata per questo scopo.” Cronaca di un suicidio, anzi delle ore che lo precedono. “Dag Och Natt” (“Day And Night”) è il titolo pragmatico che riassume la giornata del protagonista, prima del fatidico colpo di pistola alla testa. Un film straziante sull’incomunicabilità del dolore, sull’impossibilità di amare e sulla solitudine, nonostante durante il cammino della vita le apparenze possano risultare spesso ingannevoli.
Thomas è ripreso quasi sempre alla guida della sua auto: qui, una dopo l’altra, salgono le persone che in qualche modo hanno fatto parte della sua esistenza. Un commiato studiato a tavolino che però non lascia trasparire quello che sarà il suo gesto imminente. Ma Thomas sputa fuori le sue sentenze più amare, come quella nei confronti del figlio: “non ti volevo quando sei nato e non ti voglio neanche adesso. E quando scenderai da questa auto, sarai fuori anche dalla mia vita.” Poi ancora l’amante, l’amico, la madre e così via, fino all’ultima persona, una prostituta delusa dalla vita come lui, forse l’unica presenza con la quale Thomas sembra trovare una certa empatia.
“Day And Night” è un dramma cupo, freddo e chirurgico nei dialoghi (“un uomo morto fa soffrire le persone meno di uno vivo”), messo in scena dal danese Simon Staho con una rara sobrietà emozionale. Il regista separa la vita e la morte in maniera netta, con un montaggio che salta di continuo tra l’architetto e l’interlocutore di turno, senza mai mostrare il protagonista insieme alla persona seduta al suo fianco e viceversa. Chi sceglie di andare avanti è comunque destinato a soffrire (la madre infelice oppure il figlio, dopo le rivelazioni del suo fanatico allenatore di calcio), mentre Thomas decide di lasciare tutti per quel luogo chiamato New York che in realtà non incarna il sogno americano, ma la pace eterna.
Simon Staho gira in Svezia (e in svedese) un film di rottura e di distacco definitivo, esattamente come il suo successivo e valido “Daisy Diamond” del 2007. Inoltre in un’ora e mezza ci catapulta all’interno di un vero e proprio countdown prima di un evento tragico, situazione che ritroviamo anche nell’ottimo “90 Minutes” (2012) della norvegese Eva Sørhaug (pellicola che racconta attraverso tre episodi le fasi precedenti ad altrettante stragi familiari). La scuola nordica colpisce duro: segnatevi questo triste e doloroso affresco cinematografico, nel quale niente e nessuno può alleviare quel vuoto esistenziale che affligge il protagonista fin dalla nascita. La morte come alternativa alla non vita.

4

(Paolo Chemnitz)

dag och

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