The Belko Experiment

the belko experimentdi Greg McLean (Stati Uniti/Colombia, 2016)

Greg McLean non conosce le mezze misure. Dirige “Wolf Creek” (2005) negli spazi infiniti dell’outback australiano (film a cui bisogna aggiungere un sequel, una miniserie televisiva e il terzo capitolo in fase di sviluppo), per poi rinchiudersi all’interno di un grattacielo blindato, un luogo freddo e asettico sede di una multinazionale, la Belko. Questa volta la produzione è americana (così come per il precedente “The Darkness”) e il regista lavora su uno script di James Gunn, una brillante carriera iniziata con la Troma e proseguita anche in cabina di regia: il risultato è un thriller/horror gradevole e di sicuro intrattenimento, anche se poco incline all’innovazione in un genere abbastanza spremuto negli ultimi anni.
“The Belko Experiment” è un film a eliminazione. Durante l’incipit vediamo di sfuggita le strade di Bogotá, in Colombia, location nella quale sono state effettuate le riprese. La Belko ha un distaccamento proprio qui e riunisce ottanta dei suoi dipendenti all’interno di questo moderno ufficio, nel quale una mattina si accede solo dopo una serie di minuziosi controlli.
Neppure il tempo di conoscere alcuni dei protagonisti e uno speaker annuncia dall’altoparlante che nel giro di pochi minuti bisogna ammazzare due impiegati a caso, pena una ritorsione non specificata. Uno scherzo? No, perché ben presto cominciano a esplodere le prime teste (proprio come in “Scanners”) e inizia una battaglia senza esclusione di colpi tra i vari personaggi. Si creano gli schieramenti, gli stronzi da una parte e i buoni dall’altra (purtroppo sappiamo già chi arriva fino in fondo), tutti rinchiusi in questo ambiente claustrofobico sigillato con delle lastre d’acciaio. E sul terrazzo è meglio non andare, un gruppo di paramilitari è appostato intorno al grattacielo e spara a vista.
“The Belko Experiment” non inventa nulla di nuovo ma Greg McLean è bravo nel non prendersi troppo sul serio: cita in apertura la celebre canzone I Will Survive in versione latineggiante (un titolo, un programma) e ci delizia con una dose imponente di gore (teste spappolate, crani fracassati e violenza a palate), lasciando sullo sfondo sia l’impalpabile psicologia dei protagonisti che qualunque tipo di critica sociale. La pellicola si accoda così ad altre simili incentrate sul survival ludico (come ad esempio il nipponico “Battle Royale” del 2000), mostrando pure una tendenza non trascurabile del gioco dentro al gioco, testimoniata dal finale aperto che riporta in mentre altri film a eliminazione diretta (“As The Gods Will” di Takashi Miike o il meno conosciuto “The Human Race” del 2013). Niente a che vedere con gli esperimenti comportamentali assaporati nel sobrio “The Experiment – Cercasi Cavie Umane” (2001) di Oliver Hirschbiegel, opera ispirata allo Stanford Prison Experiment che fu realmente attuato nel 1971.
Il regista ritorna quindi con un lavoro ben confezionato ma incapace di lasciare ricordi indelebili, soprattutto per via di una storia lineare che scorre su più livelli, come in un videogame. Tutto già scritto in partenza, ma una visione (senza pretese) risulta alquanto piacevole. Ora però Greg McLean lo rivogliamo in Australia.

3

(Paolo Chemnitz)

belko

 

 

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