di Uwe Boll (Canada/Germania, 2009)
Il 2009 si può considerare l’anno di grazia di Uwe Boll. Il controverso regista tedesco realizza una tripletta di buon livello con quelli che (ancora oggi) possono essere considerati i suoi film più significativi: parliamo di “Darfur”, “Stoic” e “Rampage”, quest’ultimo primo episodio di una apprezzata trilogia. Superato il periodo (nero) delle trasposizioni videoludiche e in seguito ad alcuni segnali incoraggianti (“Seed” non è poi così brutto come molti lo dipingono), Boll si è preso la rivincita contro i suoi detrattori e noi lo sosteniamo pienamente.
“Rampage” è un gran bel lavoro, una riflessione sul male assoluto che affligge il pianeta, ovvero la gente. “La popolazione sulla Terra cresce ogni anno di settanta milioni. Uccidiamoli, siamo al completo”, da questo presupposto comincia una giornata di ordinaria follia nella città immaginaria di Tenderville, nella quale vive Bill (un ragazzo di ventitré anni in apparenza come tanti). I suoi genitori sperano per lui in un futuro migliore, ma sono superficiali e non riescono a captare quel disagio interiore che affligge il figlio, un giovane frustrato e irrequieto con un lavoro poco gratificante e un solo amico anarcoide e complottista che lo sommerge di sermoni su quanto faccia schifo questo mondo sottomesso al capitalismo e al consumismo (“viviamo in una società fondata sui desideri, non sui bisogni”).
Uwe Boll costruisce il suo videogioco, non a caso “Rampage” è un mass murder movie in versione sparatutto. Armatura d’acciaio, maschera da paintball, coltelli, pistole e armi da fuoco automatiche: Bill esce di casa in tenuta da battaglia e dà inizio a una carneficina, a un massacro studiato nei minimi particolari. Le azioni del protagonista non rappresentano soltanto un atto di lucida follia ispirato alle stragi che spesso accadono nei campus o per le strade americane, ma incarnano anche uno strappo definitivo nei confronti di una vita povera di soddisfazioni, che richiede appunto un cambiamento drastico inteso come sfida del tutto personale.
Chiunque capiti a tiro viene colpito inesorabilmente, dal passante indifeso al barista che pochi giorni prima aveva discusso in malo modo con il ragazzo per un caffè da lui poco gradito. Muoiono anche i poliziotti intervenuti per fermare Bill, così come crepano senza pietà alcune ragazze all’interno di un salone di bellezza, prima sbeffeggiate (quel “cip cip cip cip cip” è carico di disprezzo e di misoginia) e poi straziate con una raffica di colpi raggelante.
La violenza contenuta in “Rampage” non è affatto gratuita: Uwe Boll non vuole scioccare lo spettatore ma cerca di farlo riflettere. A tal proposito, merita una citazione la scena eloquente del Bingo, dove prima Bill deride un cameriere (il quale, nonostante la minaccia, serve un panino al giovane ripetendo poi la formula usuale di benvenuto che spetta ai clienti) e poi si siede a un tavolo sempre indossando la nera e imponente armatura, senza però che nessuno si accorga della sua presenza. Gli anziani sono troppo presi dal gioco, assuefatti da questa droga per le masse che li rende alieni e complici del sistema, il momento più alto di un film concettualmente inattaccabile che non conosce mai un momento di tregua, anche nelle fasi preparatorie.
Uwe Boll documenta il tutto con una regia snella e molto funzionale alla storia, condensando in circa ottanta minuti le vicende di una giornata a dir poco infernale. Non solo action quindi, ma anche tante domande che vengono poste continuamente allo spettatore. Perché il problema forse sta a monte: un pianeta governato da mostri genera mostri, sia tra le persone comuni (che siano piccolo-borghesi o ricchi banchieri non importa) che tra le frange ribelli (in questo caso mentalmente instabili), intenzionate a compiere azioni dimostrative individuali che non servono di certo a cambiare le regole del nostro vivere quotidiano. Agire da un punto di vista culturale è utopico, decostruire la società è impossibile, Bill allora fa tabula rasa a modo suo. Scatenando un orrore fottutamente attuale.
(Paolo Chemnitz)