Mouchette

MV5BMTk5NzgwOTMxMV5BMl5BanBnXkFtZTcwMDk2NDE0MQ@@._V1_di Robert Bresson (Francia, 1967)

Cinema estremo è anche cinema del dolore. “Mouchette – Tutta La Vita In Una Notte” è una profonda riflessione sul male realizzata da uno dei registi più influenti dello scorso secolo, Robert Bresson, indiscusso maestro francese del minimalismo. Un codice nel quale lo spettatore diventa il vero protagonista, poiché tocca a lui dover decifrare quelle sensazioni che i personaggi bressoniani lasciano a malapena trasparire. Un linguaggio cinematografico che predilige l’anima al corpo e dove la recitazione perde importanza, surrogata da un fragore sensoriale che si riversa direttamente nella nostra mente, oltrepassando i gesti e le parole. Chiedere a uno dei discepoli per eccellenza di Bresson, Bruno Dumont.
“Mouchette” è un film che mette i brividi, messo in scena con stile e sobrietà in un maestoso b/n che ne esalta con semplicità la sua carica realistica. Un dramma che ci racconta l’esistenza tormentata di una giovane ragazza che vive in una zona rurale della Francia. Mouchette è un’adolescente costretta a fare i conti con un padre padrone alcolizzato, con una madre in fin di vita e con un fratellino nato da poco da accudire: oltre a questo, la ragazzina è continuamente umiliata dai suoi coetanei, dalla sua insegnante e da tutte le persone che la circondano, una metafora di un male inestirpabile insito nella famiglia, nelle istituzioni e nel destino delle persone socialmente ai margini. Bresson, con il suo minimalismo esasperato, lascia spazio alle impalpabili emozioni della protagonista (la sentiamo raramente proferir parola), facendo scorrere istantanee quotidiane di grande intensità, le quali ci catapultano su un finale amarissimo, inevitabile quanto crudele e disperato.
Hope! Hope is dead”, la speranza è morta in quella che è la frase simbolo del film. Un’opera intrisa di puro nichilismo, di continua negazione e privazione, un sinonimo di condanna per i poveri e per i deboli. Un prolungamento di quanto già visto nel precedente memorabile “Au Hasard Balthazar” (1966), la storia di un asino che sperimenta la crudeltà della vita attraverso un verismo tragico e irreversibile. Ma con “Mouchette” il dolore viene trasferito nell’essere umano, nella fragilità di una ragazza che non trova nessun appiglio, né in famiglia né al di fuori di essa. La dignità di un’esistenza almeno decorosa è soppressa, definitivamente.
Il cinema (pessimista) di Bresson riesce quindi a comunicare parabole universali senza ricorrere a orpelli intellettuali di alcun genere, questa è la forza su cui poggiano alcune delle sue pellicole. Mouchette è il simbolo di una (mala)adolescenza calpestata dall’egoismo altrui, un duro ritratto che si dipana attraverso l’ostilità e il gelo dei rapporti interpersonali. Devastante.

5

(Paolo Chemnitz)

mouchettepic

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