Neon Bull

boineondi Gabriel Mascaro (Brasile, 2015)

Toro al neon, un titolo singolare. Niente a che vedere però con le subliminali luci losangeline di refniana memoria. Qui ci troviamo in un luogo arcaico, incontaminato, ancora legato alle tradizioni della terra. “Neon Bull” indaga sul Brasile che conosciamo di meno, quello nord-orientale dove una delle attrazioni più seguite è quella delle vaquejadas, una sorta di rodeo nel quale bisogna affiancare un toro in corsa e buttarlo giù tirandolo dalla coda. Il regista Gabriel Mascaro segue da vicino la vita di una carovana circense, un camion che si sposta da un posto all’altro in attesa del prossimo spettacolo. Iremar è a capo del gruppo, un uomo esperto e navigato che però sogna di fare altro nella vita (lavorare nel mondo della moda), un protagonista ben caratterizzato che spicca sul resto della compagnia. Questa sorta di famiglia allargata trascorre le giornate a prendersi cura degli animali sguazzando praticamente nello sterco, una routine spezzata dalle trasgressioni che alcuni personaggi a turno riescono a concedersi (c’è chi legge giornaletti pornografici ormai incollati di sperma o chi si compra mutande da puttana, come le definisce la ragazzina Cacà rivolgendosi alla donna del gruppo Galega).
Gabriel Mascaro (qui al secondo lungometraggio dopo “Ventos De Agosto” del 2014) è un regista che prima di approdare al cinema drammatico si è fatto le ossa con una serie di documentari. Un approccio che ritroviamo anche in questo “Neon Bull” (“Boi Neon” nel titolo originale), un’opera a cui non sfugge alcun particolare, un (quasi) trattato di antropologia che attraverso il rito delle vaquejadas dipinge con grezzo realismo il folklore umano che ruota attorno a questa pratica molto diffusa. Finendo anche per degenerare nel weird (il ballo con la testa equina) e nel politicamente scorretto: in quest’ultimo caso è importante soffermarsi su due scene che alla proiezione nel 2015 al Festival di Venezia crearono scompiglio tra il pubblico. La prima riguarda la masturbazione di un cavallo (il cui epilogo è alquanto bizzarro), la seconda un vero e proprio amplesso (anche piuttosto elaborato) con protagonista una donna in avanzato stato di gravidanza, un’immagine conturbante magnificamente fotografata in chiaroscuro. Situazioni avulse dal contesto narrativo, ma utilizzate dal regista per aggiungere un pizzico di sale su una storia sicuramente affascinante ma non di facile presa, soprattutto per via dell’argomento trattato.
In “Neon Bull” gli uomini non sono altro che il prolungamento degli animali che accudiscono, bestie che agiscono con l’istinto e che sognano una vita lontana dall’odore della merda che impregna ogni attimo della loro esistenza. Non resta che il sesso e l’arte di arrangiarsi, all’interno di uno scenario rurale brullo e assolato, dove anche i sogni sono intrisi di sudore. Un Brasile diverso, da scoprire.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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