Dark Night

dark nightdi Tim Sutton (Stati Uniti, 2016)

Luglio 2012. Nella tranquilla città di Aurora (Colorado) James Holmes, un ragazzo ventiquattrenne, apre il fuoco in un cinema multisala durante la proiezione della prima di “The Dark Knight Rises”. Il bilancio è grave, dodici morti e cinquantotto feriti. Il giovane stava assistendo al film seduto in prima fila ma il pubblico non aveva notato i suoi strani atteggiamenti, anche perché la sala era affollata da gente in costume proprio per pubblicizzare al meglio l’evento. Un attacco pianificato con cura, mentre sullo schermo scorrevano le immagini di Batman e di una oscura Gotham City.
Tim Sutton toglie una lettera al titolo del film di Christopher Nolan e dirige “Dark Night”, una pellicola che ricostruisce in maniera frammentata le sensazioni di quella giornata terribile, facendolo attraverso una serie di personaggi simbolo seguiti nella quotidianità e soprattutto senza mostrare una goccia di sangue. Un approccio da docudrama vero e proprio, spogliato da ogni contenuto action e permeato da uno spirito autoriale ben definito, sicuramente debitore del Gus Van Sant di “Elephant” (2003). Un percorso qui ancora più dilatato e rarefatto, costruito su istantanee di rara potenza che aggirano la strage, focalizzando la nostra attenzione sulla cornice attorno ad essa (le luci delle sirene, l’ingresso del cinema, i preparativi del killer).
Aurora è un sobborgo di Denver nel quale la vita scorre con una fredda calma apparente, tra parcheggi deserti e strade che vengono illustrate cliccando su Google Maps, un (non) luogo senz’anima spogliato da qualunque emozione, una desolante fotografia dell’America profonda realizzata con inquadrature statiche, cupe, intrise di aria immobile. Il pezzo forte di “Dark Night” è proprio la regia, capace di decostruire le vicende invece di raccontarle, un iter all’inverso che predilige il silenzio ai dialoghi e una colonna sonora alienante al fracasso di una sparatoria contro un gruppo di innocenti. Un film originale e anomalo quindi, praticamente uno shooting movie ma solo sulla carta, da assaporare consapevoli di queste scelte fatte a monte, proprio per evitare innumerevoli possibili momenti di noia.
Tim Sutton è un nome da seguire all’interno del cinema indie statunitense: dopo la routine suburbana di “Pavilion” (2012) e le atmosfere sudiste di “Memphis” (2013), le vicende dell’Aurora Cineplex Massacre rappresentano solo un appiglio storico per proseguire sul tema dell’America dimenticata, fatta di attese, di solitudine, di spazi senza identità e di morte. Come se “Dark Night” si muovesse tra Gus Van Sant e un quadro di Edward Hopper.

4

(Paolo Chemnitz)

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