di Dario Argento (Italia, 1985)
“Phenomena” piomba esattamente a metà degli anni ottanta, ma le sue basi partono dal decennio precedente. Se infatti Dario Argento con “Tenebre” (1982) aveva sperimentato il giallo asettico aperto alla modernità (il bianco dominante come in uno studio televisivo), con questo passo successivo egli torna indietro all’idea di fiaba nera (le radici concettuali di “Suspiria”), facendoci immergere in un luogo magico, oscuro e permeato da una presenza maligna.
Ci troviamo in Svizzera: un incipit da brividi mostra una decapitazione di benvenuto, è la testa di una ragazza danese rimasta purtroppo a piedi dopo aver perso l’autobus. Tutto questo in mezzo al verde lussureggiante raccolto tra le montagne in parte innevate, è solo settembre ma c’è già un’aria gelida che trapassa quei primi fotogrammi così folgoranti.
Ma ecco che ritorna in mente “Suspiria”. Poco dopo infatti conosciamo Jennifer, un’adolescente mandata dal padre a studiare in collegio, un austero edificio dove vengono imposte regole rigide e nel quale la giovane si fa subito notare per le sue fughe notturne dettate dal sonnambulismo. Inoltre Jennifer ha la capacità di comunicare con gli insetti, un aspetto che attira l’interesse di un entomologo (il sempre grande Donald Pleasence), il quale si sta occupando insieme alla polizia locale di alcuni misteriosi delitti che colpiscono le ragazze del luogo. Un plot che in molti conosciamo e che soprattutto nella prima ora di visione studia in maniera ossessiva le vicende legate alla ragazza, i suoi deliri, le sue paure, quell’indole ribelle e impavida che la porta praticamente a svelare alcuni aspetti cruciali di un mistero sempre più fitto. La sceneggiatura (scritta da Dario Argento con Franco Ferrini) si apre eccessivamente nella parte finale, contemplando una serie di situazioni (anche forzate) che mettono troppa carne al fuoco, sprazzi dispersivi di caos alternati a sequenze indimenticabili (la vasca putrescente, il bambino deforme o quelle riprese sott’acqua che richiamano le suggestioni di “Inferno”, prima di una inevitabile e fantasiosa conclusione).
“Phenomena” è l’anello di congiunzione tra la favola e l’orrore, tra l’innocenza e la mostruosità, tra il thriller e il sovrannaturale, un percorso che ancora una volta si manifesta attraverso una regia di alto livello, una colonna sonora di spessore (Goblin perfetti, lascia alcuni dubbi la scelta di inserire il metal di Iron Maiden e Motörhead) e la solita abbondanza di immagini crude e truculente. Ma si tratta appunto di un’opera che raccoglie l’eredità argentiana degli anni settanta, costituendone la proiezione perfetta in un decennio successivo capace comunque di lasciare più che soddisfatti i fan del regista romano (il pur valido “Opera” apre nel 1987 una fase di declino in seguito irrecuperabile). Un prodotto dove talento visionario e talento tecnico vanno di pari passo, aggiornando quindi un linguaggio cinematografico ancora vivo e vegeto nonostante la pellicola sia collocabile in un’ipotetica seconda fascia di riferimento, un gradino sotto i veri capolavori del Dario nazionale. Ma possiamo saltare direttamente oltre i difetti strutturali, perché “Phenomena” è ancora oggi un gran film, amato e ricordato con piacere soprattutto dal regista stesso. “Why don’t you call your insects? Go On! Call! Call!”.
(Paolo Chemnitz)