Alléluia

alle_di Fabrice Du Welz (Belgio/Francia, 2014)

Dopo aver esaminato “Calvaire” (2004) e “Vinyan” (2008), chiudiamo per il momento la parentesi dedicata a Fabrice Du Welz con il terzo film di questa ipotetica trilogia incentrata sull’abbandono, “Alléluia”, un ritorno prepotente su una tematica cupa e controversa, qui affrontata in maniera assolutamente morbosa e spiazzante. Il film prende in parte ispirazione dalla storia shock della coppia di serial killer americani Raymond Fernandez e Martha Beck aka The Lonely Hearts Killers, celebri per i loro omicidi sul finire degli anni quaranta (in tutto venti donne ammazzate). Un duo già celebrato dal cinema con “The Honeymoon Killers” (1970) di Leonard Kastle, film più sobrio ma non per questo meno inquietante di “Alléluia”.
Michel è il classico seduttore sociopatico: ama conquistare le donne per poi circuirle e tornare da loro per ottenere denaro o un nuovo rapporto sessuale. Quando però incontra Gloria (una signora di mezza età che lavora pulendo cadaveri all’obitorio), tra i due scatta qualcosa di letale. Lei si innamora di lui e decide di seguirlo ovunque spacciandosi per la sorella, anche quando l’uomo continua a vedere le altre donne con il solito scopo truffaldino. Una scelta tragica e perversa, perché presto la gelosia ossessiva di Gloria scaturisce in cieca follia. “Alléluia” (diviso in capitoli, ognuno dei quali intitolato alla vittima su cui vertono le vicende) prende fin da subito una piega malsana e disturbante, all’interno di una storia magistralmente interpretata da Laurent Lucas e Lola Dueñas (un sorriso da vera psicopatica) e arricchita da una regia molto valida, frutto dell’ormai solida esperienza maturata dal regista belga.
Du Welz ci sbatte in faccia una realtà allucinante e violenta, un (melo)dramma devastante nel quale non c’è spazio per i sentimenti ma solo per la possessività, per l’egoismo e per un insieme di evidenti e incurabili patologie. Michel segue esclusivamente il suo istinto da predatore, le donne per lui non sono altro che oggetti da manipolare, da spremere e da buttare via, ma egli stesso è pura materia per Gloria, la quale vede in quest’uomo di bella presenza una sorta di Dio personale, comunque terreno, perché legato agli istinti sessuali e alla sfera del quotidiano. Un appiglio disperato contro la solitudine. Ecco che ritorna la paura dell’abbandono, il timore che una qualunque signora ormai sul viale del tramonto possa sottrarre la carne e lo spirito di quell’individuo a Gloria, anche solo per un istante.
In “Alléluia” l’estetica esplosiva di Du Welz si somma a un percorso concettuale ben definito, un mix raggelante che si manifesta nello sguardo dei due protagonisti, spesso inquadrati con dei primi piani che dicono molto di più di quanto si possa immaginare. Quegli occhi che nascondono un’inguaribile insofferenza racchiusa dentro un desiderio di amore (impossibile) e di autodistruzione (unica certezza inevitabile). Un film spietato, da non perdere per nessun motivo.

5

(Paolo Chemnitz)

a

 

 

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