Why Don’t You Play In Hell?

whydi Sion Sono (Giappone, 2013)

“Why Don’t You Play In Hell?” è l’esondazione del genio e della sregolatezza di Sion Sono, sotto ogni aspetto possibile. Un caleidoscopio di sensazioni che non trova precedenti neppure all’interno delle sue opere più celebrate (“Love Exposure” ad esempio), perché con questa pellicola del 2013 il regista giapponese fa tracimare ogni argine, lasciando il metacinema in balia della corrente più impetuosa. Una trama folle per un lungometraggio folle, nel quale le vicende di un gruppo di ragazzini aspiranti filmmaker (i Fuck Bombers) finiscono per intrecciarsi con quelle di due gang legate alla yakuza, poiché il boss di una di queste vuole far recitare assolutamente sua figlia in un film. La giovane era già diventata una piccola star per aver preso parte a una pubblicità da bambina, ma ora il padre vuole che reciti in un’opera da mostrare al più presto alla madre (reclusa in carcere ancora per poco). L’unico modo per girare qualcosa velocemente è far riprendere ai Fuck Bombers l’incursione della gang nel covo dei rivali, con la ragazza a capo della scorribanda.
Sion Sono si dimostra ancora una volta poliedrico: dopo aver percorso i territori più oscuri e perversi del (suo) cinema (“Cold Fish” e “Guilty Of Romance” sono di poco precedenti) e in seguito al toccante e drammatico affresco di “Himizu” (2011), con “Why Don’T You Play In Hell?” egli realizza un vero e proprio atto di amore nei confronti della sua passione cinematografica, qui presa, assimilata e ribaltata completamente, senza tener conto di nessuna regola. Raccontando poi una lotta tra due faide che simboleggia l’eterno dilemma tra realtà e finzione, il punto focale sul quale ruota l’intera pellicola.
Il regista inoltre sposta l’asticella della violenza oltre i confini del cruento e dello splatter, infatti questa ci viene mostrata in modo talmente bizzarro e delirante che diventa praticamente una farsa, con il sangue che scorre a fiumi (e sul quale si scivola come se fossimo alle giostre) che accompagna una sceneggiatura qui sinonimo di caos al massimo regime, l’ossatura di un film colorato e fuori da ogni schema che nella parte conclusiva si trasforma in alta macelleria a fumetti. Cinema anarchico, libero, il quale forse rischia di non essere capito a pieno ma che sprigiona delle energie assolutamente devastanti che si possono cogliere in oltre due ore di visione, senza un attimo di tregua, all’interno di una storia tra l’altro condita da musiche celestiali infilate proprio nei momenti clou (scelta molto azzeccata).
“Why Don’t You Play In Hell?” è un mix di fantasia e immaginazione, un gangster movie tra i più atipici mai visti in circolazione, tra sottotrame più o meno comprensibili e accelerazioni action-comedy mai forzate o avulse dal contesto. Un film spassoso, citazionista e volutamente stucchevole, frutto della mente del Sion Sono più tumultuoso ed eccentrico.

4

(Paolo Chemnitz)

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