di Simon Rumley (Gran Bretagna, 2006)
Non è facile per un film trasmettere angoscia in maniera continuativa, eppure Simon Rumley ci è riuscito, con quello che possiamo definire uno dei disturbing drama più nevrotici del nuovo millennio. Ansia e impotenza, dolore e morte. “The Living And The Dead” è un grande film sulla malattia fisica che incontra quella mentale, due livelli di menomazione che nell’opera in questione sprofondano insieme nella disgrazia, nella solitudine e nel baratro più assoluto.
James è il figlio schizofrenico del ricco Donald Brocklebank, il quale possiede un grande maniero isolato nel verde. La madre Nancy invece è malata da tempo ed è costretta a vivere su una sedia a rotelle. Quando il padre parte per lavoro, manda un’infermiera ad aiutare la moglie, ma James crede di poter fare tutto da solo e così, dopo aver chiuso ogni accesso alla casa, inizia a curare la madre somministrandole farmaci in modo sconclusionato e senza badare ai suoi bisogni più importanti, essendo occupato a impedire l’ingresso all’infermiera. L’evoluzione della storia segue un percorso sia tragico che onirico (Rumley cita Lynch tra le sue influenze principali), puntando tutto sul personaggio protagonista, un bravissimo Leo Bill nella parte del figlio.
“The Living And The Dead” è la discesa nell’inferno di una mente instabile: il regista inglese non solo ci lascia lì, tra quelle stanze, in balia di una situazione ormai fuori controllo, ma ci fa vivere in prima persona proprio l’esperienza di James, utilizzando un montaggio che quando diventa frenetico sembra una pallina da flipper impazzita, come gli occhi di quel giovane nel panico più assoluto, inconsapevole di infliggere una tortura alla madre completamente bloccata e straziata dagli eventi. Uno script molto ben congegnato qui incontra una regia talentuosa, il film infatti è capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore portandolo in alcune scene a un livello di esasperazione condivisa con le vittime (madre e figlio), nessuna delle due capace di ribaltare le vicende con lucidità e fermezza.
Peccato che Simon Rumley abbia replicato solo quattro anni dopo con il meraviglioso “Red White & Blue” (2010), lasciando correre troppo tempo anche per le opere successive (un paio di partecipazioni in antologie horror e poi il passo falso di “Johnny Frank Garrett’s Last Word”, con l’attenuante della sceneggiatura da lui non scritta). Per questo motivo attendiamo con grande fermento l’imminente “Fashionista”, perché la speranza di rivederlo in forma è molta e ancora risuona nella testa l’ossessione trasmessa da un film come “The Living And The Dead”, ingiustamente poco considerato anche a distanza di oltre un decennio.
(Paolo Chemnitz)