di Umberto Lenzi (Italia, 1976)
Uno dei volti più celebrati del poliziottesco è stato quello di Maurizio Merli nel ruolo del commissario Betti, un uomo spavaldo e perennemente in conflitto con superiori e magistrati per i suoi metodi duri e risoluti. Ma un grande personaggio funziona solo se dietro c’è un regista che lo fa muovere alla perfezione, così se la prima apparizione di Betti in “Roma Violenta” (1975) aveva buone carte da giocare ma non graffiava in maniera risoluta (dirigeva Marino Girolami), è con il secondo film del ciclo che esplode tutto il potenziale di questo commissario, anche perché il terzo “Italia A Mano Armata” (1976, sempre per la regia di Girolami) riporta tutti con i piedi sulla terra.
“Napoli Violenta” è una creatura di Umberto Lenzi e si vede: azione, ritmo forsennato e scene controverse che sfociano nell’horror, il tutto contornato da una colonna sonora a colpi di tarantella realizzata dal sempre bravo Franco Micalizzi. Betti viene trasferito nella città partenopea e già nel magnifico incipit capiamo che la sua permanenza non sarà facile (“bentornato, signor commissario! Ma voi dovete essere prudente, vedete… Napoli è una città pericolosa, a non stare bene attenti!” è il monito di un potente boss della camorra detto ‘O Generale). Un’avvertenza che ha più di un fondamento, Napoli è nelle mani del crimine e quotidianamente si susseguono estorsioni e rapine (le sequenze della folle corsa in soggettiva sulla motocicletta da un capo all’altro della città sono rimaste scolpite nella memoria di tutti gli appassionati del genere). L’opera non conosce tregua e Lenzi, conscio del successo di “Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare” (1974), alza ancora di più il livello di ferocia, infilando qua e là una serie di morti ammazzati in maniera brutale: c’è chi finisce sgozzato su una cancellata, chi con il volto sfondato da una palla da bowling e infine, nella scena cult della funicolare (nella quale Maurizio Merli non utilizzò una controfigura per le sue evoluzioni sul tetto), una povera malcapitata viene fatta sporgere da un finestrino al passaggio di un mezzo in senso opposto (risultato: viso spappolato).
Questo film senza compromessi realizzò incassi da record (solo a Napoli 59 milioni di lire, con i cinema presi d’assalto), inoltre la sua matrice folkloristica lo rende ancora oggi un piccolo documento sulla città partenopea durante la metà degli anni settanta, grazie anche alla presenza di alcuni caratteristi del luogo (come ad esempio Gennarino). Una serie di ingredienti che messi insieme decretano questa pellicola come una delle più riuscite e amate nel filone poliziottesco, una full immersion nella guerra all’omertà, alla prevaricazione, al potere della camorra, ovviamente messa in atto dal nostro indimenticabile e grintoso commissario con i baffi. Il cinema bis a livelli epocali.
(Paolo Chemnitz)
Maurizio Merli idolo assoluto del genere poliziottesco
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