di Cameron Cairnes e Colin Cairnes (Australia, 2016)
Per i fratelli Cameron e Colin Cairnes “Scare Campaign” rappresenta il secondo lavoro a quattro anni di distanza da “400 Bloody Acres” (2012). Un film che sfrutta una tematica attuale, inserendo l’orrore all’interno di uno show televisivo, in questo caso una candid camera nella quale un ignaro protagonista viene attirato in un luogo isolato e qui fatto oggetto di scherzi spaventosi. L’idea del mockumentary è praticamente trascinata dentro uno studio televisivo, nel quale le telecamere diventano l’occhio indiretto che segue una vittima prescelta, questa volta inconsapevole di far parte di un gioco studiato appositamente per il morboso voyeurismo del pubblico.
“Scare Campaign” è il nome di questo programma, in realtà costretto a fronteggiare un calo di ascolti, così per l’ultima puntata l’unica soluzione è quella di fare il grande colpo, ambientando le vicende in una location veramente spaventosa, un ex ospedale psichiatrico nel Queensland, in Australia. Il luogo in questione si dimostra solo il contorno di un crescendo di eventi sempre più atroce, perché il concorrente invitato per l’occasione rivela un comportamento ambiguo e pericoloso: questo però è solo il principio di una nuova serie di colpi di scena che scompongono il film letteralmente in mille pezzi, come se all’interno di una scatola ne trovassimo altre più piccole.
I registi, pur lavorando con un budget limitato, riescono a fare centro proprio spostando le risorse in fase di sceneggiatura (da loro scritta), creando un plot che a un certo punto inizia a mescolare le carte sul tavolo fino al twist decisivo ancora più sconvolgente di quelli precedenti. “Scare Campaign” evita di scadere nel banale, intrattenendoci per neppure ottanta minuti nei quali la parola noia non esiste (complice anche qualche discreto momento gore), pure se bisogna comunque fare i conti con dialoghi e interpretazioni appena sufficienti e con una fotografia volutamente televisiva, scelta a cui ci si abitua subito proprio per il contesto nel quale si sviluppa l’opera. Il tema della morte come strumento da mostrare in diretta per aumentare gli ascolti non è certo nuovo (pensiamo al recente e ottimo “Lo Sciacallo”), ma la matrice concettuale qui scivola via col il passare dei minuti in favore di un gioco al massacro legato per giunta al lato oscuro di tale aspetto, quello che chiama in causa gli snuff movie.
Questa fatica dei due fratelli australiani è la prova ulteriore che il cinema horror può essere gestito con le idee più che con i soldi, motivo per il quale il film è riuscito ad approdare con merito tra le recenti uscite home video italiane. Consigliato a chi è alla ricerca di una piccola boccata di aria fresca.
(Paolo Chemnitz)