Raw

rawdi Julia Ducournau (Francia/Belgio, 2016)

Attorno a “Raw” (aka “Grave”) si è creato un hype incredibile fin dallo scorso Toronto International Film Festival, quando un paio di spettatori sono svenuti in sala durante la proiezione per via di alcune scene cruente e disturbanti. Una situazione simile avvenuta successivamente nel corso di una rassegna svedese, dove a quanto pare c’è chi ha lasciato il cinema in preda a conati di vomito. Ma è veramente così estremo questo film? La risposta è ni, dopotutto noi cinefili abituati con certe pellicole di confine sappiamo subito riconoscere e metabolizzare quel tipo di linguaggio malsano che non ci risparmia nulla. Al contrario, per un semplice e occasionale fan del disturbing drama (di taglio horror), questo lavoro può rappresentare una botta non indifferente.
Justine è una timida adolescente che si è appena iscritta a scuola di veterinaria, un college nel quale i più grandi dettano le regole, come se ci trovassimo in una caserma. Per entrare in questo circolo (una setta, praticamente) bisogna superare un rituale di iniziazione che consiste per tutti nel mangiare un piccolo rene di coniglio. Justine è obbligata a farlo, nonostante sia da sempre vegetariana, così come la sua famiglia. Da questo momento scatta in lei una pulsione ossessiva per la carne, alla quale il suo corpo reagisce prima con la repulsione (le piaghe) e poi con l’accettazione (il cannibalismo). Una discesa negli inferi che, in partenza, ricorda certe derive body horror di quel gioiello (sempre francese) diretto da Marina De Van, “Dans Ma Peau” (2002), senza scomodare David Cronenberg che resta l’influenza principale dichiarata da Julia Ducournau.
La regista sposta l’asticella molto più in alto, offrendoci un bel campionario di veterinaria politicamente scorretto (incluso un braccio infilato nel culo di una mucca), per poi virare sull’aspetto più trucido e sanguigno legato al corpo e alla carne. La prima parte del film è molto convincente (nonostante qualche perdonabile forzatura nel plot), mentre nella seconda metà dell’opera riscontriamo un certo sfilacciamento a livello narrativo, una serie di scene incollate una dopo l’altra che non riescono a far scorrere in maniera naturale le vicende. Ma è pure logico perdere in parte il controllo, all’interno di una pellicola che a un certo punto si apre come un ventaglio: la scoperta della carne è anche una scoperta del sesso, “Raw” infatti può essere interpretato come un coming of age nel quale il desiderio di cibarsi collima con quel sentore di erotismo pruriginoso che accompagna molte immagini dell’opera. Inoltre, con il trascorrere dei minuti, Justine non resta l’unica persona sulla quale ruota il film, poiché altri due protagonisti si affiancano a lei creando una sorta di triangolo malato, la chiave di una storia che si allarga a macchia d’olio sorprendendoci pure nel secco e deciso finale.
Justine incarna il prototipo femminile di una metamorfosi drastica e ferale, un corpo che nella fatidica scena della ceretta o in quella davanti allo specchio compie il passaggio definitivo nel regno della carne. Un concetto trasversale che oltrepassa le semplici dinamiche di una dicotomia vegetariani versus onnivori (una tale e netta contrapposizione non avrebbe alcun senso). L’attesa dunque era molta e non è stata tradita, anche se non possiamo urlare al miracolo: si tratta comunque di un valido debutto per Julia Ducournau, perché “Raw” è un prodotto grezzo e diretto come il titolo, un pezzo di carne cruda da infilare in bocca e da buttare giù, senza farsi troppe domande.

3,5

(Paolo Chemnitz)

rawpicture

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