di Christophe Deroo (Stati Uniti, 2016)
Sam è un venditore porta a porta che improvvisamente si ritrova in una località disabitata, un posto fantasma abbandonato da tutti. Nessuno risponde al telefono (neppure la moglie) e l’unica fonte di comunicazione è la radio, la quale trasmette un appello che mette in guardia gli abitanti di quel luogo: un maniaco omicida sta uccidendo i bambini della zona. Il problema per Sam è che quando egli inizia a imbattersi nelle prime persone, intuisce che sono tutte convinte che lo psicopatico sia proprio lui, così è costretto a scappare e a difendersi da una serie di individui piuttosto inquietanti (armati, pericolosi e con il volto nascosto da maschere di lattice). L’elemento sangue non tarda quindi a sopraggiungere.
Questo primo lungometraggio per Christophe Deroo è ambientato nel suggestivo deserto del Mojave, in California. “Sam Was Here” risulta però un oggetto misterioso, un po’ come quel bagliore rossastro che appare nel cielo senza una spiegazione. E’ uno di quei film che tiene in sospeso tante cose, interrogativi che non trovano risposte adeguate e che possono lasciare l’amaro in bocca allo spettatore alla ricerca di continue motivazioni dietro una storia. In soli settanta minuti, il regista butta sulle spalle del protagonista l’intera vicenda, una scelta in parte pretestuosa che comunque funziona discretamente grazie alla buona prova di Rusty Joiner, un uomo letteralmente allo sbando in un paesaggio mozzafiato. Un altro merito del film è infatti riconducibile all’ottima fotografia e a una regia molto elastica che valorizza le diverse inquadrature (alcune realizzate con l’ausilio di un drone), immergendo il nostro sguardo in un contesto veramente particolare e affascinante.
Durante una scena all’interno di uno di questi luoghi abbandonati, l’occhio del protagonista si sofferma su un dipinto appeso al muro: si tratta di “Western Motel” di Edward Hopper, il celebre pittore americano della solitudine e delle attese. Perché “Sam Was Here” è aria immobile, è silenzio, è una staticità che implica la paranoia, in questo continuo girovagare di un uomo alla ricerca estenuante della verità. Quello che praticamente accade anche a noi.
In definitiva, la pellicola dimostra da un lato di essere tecnicamente valida e molto suggestiva (niente male neppure la colonna sonora), ma questo coraggioso mix tra thriller, mystery e sci-fi è privo di uno scheletro, di una base che possa sorreggere l’intera sceneggiatura, di fatto poca cosa rispetto alle intenzioni mostrate in partenza. Tante belle immagini (locandina inclusa) non corrispondono all’auspicata sostanza.
(Paolo Chemnitz)