di Sam Peckinpah (Stati Uniti/Messico, 1974)
Sam Peckinpah viene spesso ricordato per i suoi film più importanti, dal crepuscolare capolavoro western “Il Mucchio Selvaggio” (1969) al suggestivo e indimenticabile revenge movie “Cane Di Paglia” (1971). “Bring Me The Head Of Alfredo Garcia” (questo il titolo originale) è sicuramente meno celebre ma non per questo poco interessante: si tratta di un’opera per giunta rivalutata dopo anni, poiché alla sua uscita fu stroncata dalla critica americana in maniera piuttosto superficiale. A tal proposito, il Wall Street Journal scrisse che “il film è così grottesco nella sua idea di base, così sadico nelle sue immagini, così irrazionale nella sua trama, che ci porta a una sola conclusione: Peckinpah ha bisogno di un analista.”
Ci troviamo in Messico, dove un ricco signorotto del luogo estorce con la forza a sua figlia il nome di chi l’ha ingravidata, mettendo poi una taglia su questa persona. Si scatena una caccia all’uomo che vede protagonista un eccelso Warren Oates nel ruolo di Bennie, il quale scopre dalla sua compagna di viaggio (una prostituta) che il ricercato Alfredo Garcia è ormai morto e sepolto. Ovviamente abbandonare la missione significa perdere la taglia, così l’unica soluzione è quella di prendere la testa del cadavere per poi mostrarla e riscuotere i soldi.
La prima parte del film ha un ritmo blando e la storia ci mette un po’ a decollare, ma in queste sequenze Peckinpah proietta le immagini nel fascino delle strade polverose di un Messico mai battuto dal cinema (il regista scelse appositamente luoghi e comparse particolari). Il botto però non tarda a sopraggiungere: prima un tentativo di stupro che finisce male (simile a quello visto in “Cane Di Paglia”), poi il ritrovamento del cadavere di Garcia che dà inizio a una serie infinita di morti (ventuno in tutto, come recita la locandina). Le sparatorie sono violente e come sempre indugiano sulla sofferenza del malcapitato di turno, non a caso Sam Peckinpah (ancora una volta) fa un uso magistrale del ralenti, mentre gli ultimi minuti del film sono momenti di grande cinema, una resa dei conti che non conosce vincitori, un finale amaro nel quale viene sottolineato il valore effimero del denaro. Tra avidità e nichilismo.
“Voglio La Testa Di Garcia” è una pellicola di spessore purtroppo poco conosciuta dal grande pubblico, un crescendo di azione e di tensione che sfocia addirittura in situazioni grottesche (fantastici i monologhi di Bennie mentre guida con la testa mozzata avvolta nel sacchetto). Un vero western moderno travestito da road movie, le cui suggestioni hanno sicuramente ispirato pellicole recenti come ad esempio “Le Tre Sepolture” (2005) di Tommy Lee Jones, senza dimenticare quelle derive proto-pulp che ritroveremo puntualmente nel cinema di Tarantino. Qui Peckinpah lavora in assoluta libertà, una strategia che premia il suo carattere estroso ma difficile, spesso causa di problemi con gli addetti ai lavori. “Voglio La Testa Di Garcia” è sporco, cattivo e non scende mai a compromessi, tutto quello che si può desiderare da una pellicola diretta da Bloody Sam. Quanto ci manca!
(Paolo Chemnitz)