di Jang Cheol-Soo (Corea del Sud, 2010)
La Corea rurale ha un fascino primordiale, almeno nei film. Nasconde storie di amore e perversione (“L’Isola”, 2000), pericolosi serial killer (“Memories Of Murder”, 2003) ma anche misteri e superstizioni (“The Wailing”, 2016). “Bedevilled” si inserisce con prepotenza all’interno della lista, immergendoci in un clima di soprusi e violenza dove la vendetta non giunge in seguito a un singolo episodio, ma è dettata dall’esasperazione di una vita di costrizioni e schiavitù.
Hae-Won è una giovane ragazza single che abita a Seul: il lavoro in banca è stressante e la città le riserva brutte sorprese (è chiamata a testimoniare per un caso di cronaca nera), così decide di staccare la spina prendendosi una settimana di vacanza per recarsi nell’isola di Moodo, dove un tempo vivevano i suoi nonni. Qui incontra Bok-Nam, una sua amica di infanzia, ma scopre che la donna è trattata come un oggetto sessuale dagli uomini del posto ed è pure umiliata di continuo dalle anziane della comunità.
Dopo un incipit urbano francamente trascurabile, siamo subito catapultati dentro una storia nella quale il regista Jang Cheol-Soo non scherza affatto: stupri, botte, calci, misoginia, pedofilia suggerita, tentativi di fuga repressi in malo modo e tanto altro, un calvario fisico e psicologico ben rappresentato dalle immagini e dai dialoghi: “anche i cani e i maiali imparano se vengono picchiati. Perché tu no?”. Hae-Won è inerme, passiva ed egoista, ha paura di essere coinvolta in queste vicende così delicate, mentre Bok-Nam (baciata improvvisamente dal sole in una scena carica di luce ed energia) compie il fatidico giro di boa, iniziando a mettere in atto una carneficina a colpi di falce. Ecco che così, dopo circa un’ora, il sangue comincia a scorrere copiosamente permettendo a “Bedevilled” di scoprire tutte le sue caratteristiche da classico revenge movie.
Lo schermo è attraversato da una fotografia giallastra dove i raggi solari sembrano voler ingabbiare questa retrograda comunità di contadini. Si tratta di una realtà da sempre plasmata da regole crudeli, un mondo non civilizzato dove o nasci padrone oppure nasci (e muori) schiava. Dentro questa tragica e misogina cornice, la figura di Bok-Nam ha un ruolo centrale che trascina letteralmente le sorti del lavoro: peccato soltanto per alcuni flashback superflui e per quel doppio finale che spesso attanaglia (in negativo) non poche pellicole del cinema coreano. “Bedevilled” poteva concludersi meravigliosamente dopo cento minuti, invece insiste con un ulteriore quarto d’ora privo di interesse. Ma resta comunque un film enorme, capace di rileggere il linguaggio del rape & revenge sotto un’ottica veramente selvaggia di matrice orientale. Da vedere e rivedere.
(Paolo Chemnitz)