Carrie

carriedi Brian De Palma (Stati Uniti, 1976)

Stephen King inizia la sua carriera con “Carrie” nel 1974. Trascorrono neppure due anni e lo sceneggiatore Lawrence D. Cohen adatta il romanzo in quello che a breve diventerà un successo cinematografico su larga scala. Con un talento alla regia come Brian De Palma non poteva essere altrimenti, considerando che il film – pur semplificando e modificando molti aspetti del libro – non svilisce affatto il potenziale iconografico della protagonista, una portentosa Sissy Spacek (allora venticinquenne) nei panni di una giovane adolescente costretta a subire scherzi e umiliazioni da parte delle sue compagne di scuola.
Carrie White è timida, impacciata e non ha amici, poiché ha vissuto tutta la sua giovinezza segregata in casa per volere della madre, un’integralista cristiana chiusa nella sua mentalità da inquisizione in una dimora adibita a santuario (a distanza di anni la figura di Margaret White risulta eccessivamente forzata, senza comunque perdere la sua forza dirompente). L’opportunità di riscatto giunge nel corso del consueto ballo di fine anno, quando la ragazza accetta l’invito delle uniche persone disposte ad aiutarla (l’insegnante di ginnastica e un giovane di nome Tommy). In questa circostanza i poteri telepatici di Carrie si manifestano in maniera devastante, in seguito a un nuovo episodio di scherno durante la premiazione: Chris e Billy, acerrimi nemici della povera disagiata, le rovesciano addosso un secchio contenente sangue di maiale, in una scena indimenticabile che dà inizio alla furibonda vendetta della ragazza, prima all’interno della scuola e poi tra le candele inquietanti della sua abitazione, una mezzora conclusiva a dir poco epocale nella quale il regista mostra tutte le sue qualità, dall’uso del ralenti allo split screen, con inquadrature sempre cariche di tensione nervosa.
Il sangue è uno degli elementi chiave della pellicola: compare nelle prime sequenze, quando Carrie ha le sue prime mestruazioni sotto la doccia negli spogliatoi (con conseguente derisione da parte delle sue coetanee), un fluido considerato impuro che poi si rivede nelle immagini del ballo, dove in una cascata di colore rosso assume contenuti ancora più liberatori. Un cerchio che De Palma chiude con grande potenza simbolica, legandolo al difficile periodo dell’adolescenza e mescolandolo con le costanti valenze bibliche in cui si muovono madre e figlia, una sorta di anatema che suggerisce la forza distruttrice di Carrie (non lontana da un’entità sovrannaturale la cui sfera divina si genera proprio nel sangue).
Sissy Spacek fu scelta casualmente per interpretare la protagonista e in lei risiede gran parte del fascino del film, al contrario del recente remake del 2013, nel quale Carrie è impersonata da una brava ma eccessivamente patinata Chloë Grace Moretz, troppo perfetta per assumere le sembianze di una ragazzina emarginata. La formula utilizzata da Brian De Palma qui risulta esemplare ed è strutturata in modo tale che la pellicola possa esplodere in una seconda parte catartica e debordante. Qualcosa di più di un semplice sguardo di Satana, sottotitolo che nell’edizione italiana affianca l’originale “Carrie” e che rimanda appunto agli occhi magnetici di una giovane donna libera di sfogare i suoi impulsi repressi attraverso la mente. Memorabile.

5

(Paolo Chemnitz)

carriepic

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