Get Out

get outdi Jordan Peele (Stati Uniti, 2017)

“Scappa – Get Out” arriva nei cinema italiani tra poche settimane. Si tratta del primo film per il regista nero Jordan Peele, prodotto dalla quotata Blumhouse (“Insidious”, “Sinister”, “La Notte Del Giudizio”, “The Gift”) e girato interamente in Alabama. L’opera mostra un mix piuttosto riuscito tra thriller e horror (nella seconda parte), ponendo al centro dell’attenzione il confronto sempre controverso tra bianchi e neri, ma in maniera dissimile rispetto al passato: qui infatti non ci sono redneck razzisti con le bandiere sudiste e neppure il Ku Klux Klan visto in “Mississippi Burning” (1988), perché il rapporto è raccontato attraverso la storia di un afroamericano (Chris Washington) che si reca per la prima volta con la sua fidanzata bianca (Rose Armitage) dai genitori di lei per conoscerli, una tipica famiglia borghese della middle-class statunitense. Persone che avrebbero votato per Obama anche per la terza volta, se avessero potuto. Proprio con questa scelta Jordan Peele dimostra coraggio, poiché “Get Out” smaschera quell’ipocrisia liberal-democratica che accetta la diversità ma solo in apparenza, mostrando invece inevitabili contrasti e sottolineando con battute più o meno esplicite le differenze genetiche tra le due razze (il discorso del fratello di Rose durante la cena, rivolto a Chris tra ammirazione e scherno).
La villa degli Armitage nasconde qualcosa di strano: i due inservienti neri si comportano in modo strambo (il personaggio di Georgina è davvero sinistro) e le gentili attenzioni della famiglia nei confronti di Chris lasciano intravedere un rovescio della medaglia agghiacciante. La tensione è latente e siamo coinvolti – alla pari del protagonista – in una situazione paranoica che ci lascia costantemente nel dubbio. Cosa sta succedendo? La risposta giunge puntuale dal momento in cui vengono scoperte le carte, l’inizio di un incubo impensabile fino a pochi minuti prima. Qui il regista si sbizzarrisce mettendo fin troppa carne al fuoco (la storia prende una piega allucinante), nonostante la pellicola riesca comunque a condurci in maniera tutto sommato intrigante verso le battute finali, condite con un po’ di sano splatter e con le solite fatidiche forzature. Lo stesso Jordan Peele ha ammesso che l’idea di fondo per le sequenze conclusive è stata cambiata all’ultimo istante, onde evitare di alimentare ulteriori polemiche sul presunto razzismo (e menefreghismo) mostrato dalle istituzioni americane nei confronti dei neri. Ma la critica non viene aggirata, poiché il regista la immette con sferzante ironia in una scena del film, la quale si svolge (guarda caso) all’interno di un commissariato di polizia.
“Get Out” è dunque un buon prodotto, capace di tenerci incollati allo schermo per tutta la sua durata (quasi cento minuti), un merito che va riconosciuto al regista e a un gruppo di attori sicuramente affiatati, malgrado alcune interpretazioni (volutamente) sopra le righe.
Citando uno degli invitati durante la festa a casa Armitage, “il nero fa tendenza”. In effetti, proprio come nel recente “Moonlight” (vincitore di tre Oscar), la deriva black – un tempo relegata alle pellicole blaxploitation – sembra essere esplosa definitivamente quest’anno, coincidendo con il mandato del presidente Donald Trump e con le paure di una passata campagna elettorale convulsa e velenosa. Un messaggio sociopolitico che suona come una condanna per l’America tutta, democratici e conservatori, facendo riemergere le memorie della schiavitù nera nei campi di cotone, qui mostrata sotto nuove forme. Che guardano anche al futuro in maniera oscura e inquietante.

4

(Paolo Chemnitz)

get-out-movie-2017

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