Naked Blood

nakedblooddi Hisayasu Satô (Giappone, 1996)

Hisayasu Satô è un regista giapponese apprezzato negli ambienti underground per via delle sue innumerevoli opere controverse, realizzate con una incredibile continuità (ma sempre con un budget ridicolo) soprattutto dalla seconda metà degli anni ottanta alla fine degli anni novanta, per un totale di oltre sessanta film diretti dal 1985 al 2016. “Naked Blood” è quello più conosciuto, ha ricevuto prima di molti altri una distribuzione home video internazionale e tratta tematiche assimilabili completamente al cinema horror, dopo la carrellata di perversioni erotiche mostrate nelle precedenti pellicole (ricordiamo ad esempio “Lolita Vibrator Torture” del 1987 e “The Bedroom” del 1992, oltre a una serie di ulteriori scioccanti pinku eiga). Quello di Sato è un cinema alienato e alienante, terminale (come fu giustamente definito da un libro a lui dedicato uscito alcuni anni fa in Italia), una fotografia distorta e allucinata di un Giappone malato, nel quale gli individui si annullano nella spasmodica ricerca dell’eccesso e della trasgressione.
Il plot di “Naked Blood” verte su tre ragazze che si sottopongono a un esperimento medico per testare un nuovo anticoncezionale: a loro insaputa però nell’iniezione è contenuta anche una droga psicotica, il Myson, la quale può trasformare il dolore in piacere. Eiji, il figlio della Dottoressa che le ha in cura, è il responsabile di tale misfatto e inizia a spiare con una videocamera i comportamenti delle cavie, ovviamente condizionate da questa sostanza. Con effetti devastanti.
Sato ci rende partecipi di questo gioco al massacro, il voyeurismo messo in atto nel film si riflette automaticamente sullo spettatore, complice e testimone della piega delirante che prende la pellicola. A tal proposito, è impossibile dimenticare la scena cult nella quale una ragazza immerge una mano nell’olio bollente per poi sgranocchiarsela con gusto, il tempura umano che ritroveremo successivamente anche in “The Machine Girl” (2008) di Noboru Iguchi. Il regista gira in sei giorni un film che nonostante la breve durata (77 minuti), si scontra con una certa monotonia di fondo illuminata solo dalle memorabili sequenze di automutilazione (alcune impressionanti), un tripudio splatter realizzato con effetti più che buoni. La forza di “Naked Blood” risiede però nel concetto e non nel masochismo visivo, una convulsione tra realtà virtuale e ossessione patologica, un trip terrificante che incarna meglio di altre pellicole il male di un popolo, quello nipponico, all’epoca flagellato dall’uso di nuove droghe sintetiche.
“Naked Blood” è un lavoro disturbante che suggerisce molto di più rispetto a ciò che mostra, bisogna solo saper cogliere determinate sfumature anche all’interno delle scenografie (ad esempio la stanza bianca con il cactus), un puzzle onirico da ricostruire pezzo per pezzo. Non tutto funziona a dovere, ma l’opera rappresenta sicuramente un valido punto di partenza per avvicinarsi al cinema di Hisayasu Satô, un regista mai sceso a compromessi nel corso della sua carriera. Ci piace così.

3,5

(Paolo Chemnitz)

nakedbloodpic

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