di Gianfranco Mingozzi (Italia/Francia, 1974)
“Flavia, La Monaca Musulmana” è un curioso intreccio di dramma storico e nunsploitation che si svolge durante il celebre sacco di Otranto del 1480, quando le truppe ottomane sbarcarono nella cittadina pugliese mettendo a ferro e fuoco l’intera popolazione (circa 800 otrantini furono decapitati poiché non rinnegarono la loro fedeltà al cristianesimo). In questo scenario si muove Flavia Gaetani (una sempre valida Florinda Bolkan), costretta dal padre a prendere i voti entrando in convento. Ma la donna è una ribelle e vede negli invasori una possibilità di salvezza e di redenzione contro una società da lei considerata misogina e maschilista: si allea così con il capo dei saraceni e si rivolta verso gli stessi cristiani, inconsapevole di un destino atroce che rappresenta il prezzo da pagare per la ricerca della libertà.
Tra i pochi film realizzati da Gianfranco Mingozzi, questo è quello che ricordiamo con maggior piacere. Il regista era rimasto sicuramente impressionato dal magnetismo di una pellicola come “I Diavoli” (1971) di Ken Russell, suggestioni che ritornano in alcune scene girate all’interno del convento, le quali però incarnano solo il punto di partenza di un filo logico a tratti discontinuo che attraversa una tematica scottante come quella del femminismo, qui mostrata con qualche banalità di troppo (“Perché Dio è maschio? Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tutti maschi. Anche i dodici apostoli. Tutti e dodici maschi”). Bisogna comunque dare merito all’opera di essere capace di coinvolgerci pienamente, grazie ai bravi personaggi di contorno (eccellente la luciferina María Casares nei panni di Suor Agata) e a una location spoglia ma efficace (il film è stato girato tra Barletta, Trani e l’alto Lazio), senza dimenticare una colonna sonora magica e fiabesca realizzata da Nicola Piovani.
“Flavia, La Monaca Musulmana” è anche un prodotto sorprendentemente violento: assistiamo alla castrazione (vera) di un cavallo, alla sequenza surreale della ragazza all’interno del ventre di una mucca squartata (con il cinema di Fernando Arrabal dietro l’angolo), oltre a una serie di torture, di stupri e a un finale che potrebbe suggerire le beatificazioni postume di un “Martyrs” in versione storica. Mingozzi non tralascia neppure una componente erotica tutto sommato trascurabile, rendendoci partecipi di un dramma non facile da decriptare e poco virtuoso (la regia è troppo spartana per essere considerata d’autore). Ciononostante, “Flavia, La Monaca Musulmana” non si lascia mai travolgere dalla presunzione, rimanendo ben ancorato ai canoni del cinema exploitation più colto.
Questo è un film che vuole provocare: ci riesce fino a un certo punto, perché il discorso sull’emancipazione femminile è talmente eccessivo da risultare inoffensivo, ma l’aspetto truce e violento colpisce a fondo disturbando lo spettatore, il quale si ritrova immerso nella barbarie di un medioevo veramente cupo e crudele.
(Paolo Chemnitz)