di Justin Kurzel (Australia, 2011)
Snowtown è il nome di un sobborgo povero a nord di Adelaide, Australia. Durante gli anni novanta, il luogo salì alla ribalta della cronaca nera per una serie di omicidi commessi da un gruppo di persone e perpetrati ai danni di pedofili, omosessuali e altri soggetti deboli o comunque emarginati dalla società. “The Snowtown Murders” (o semplicemente “Snowtown”) ripercorre quei momenti con uno stile livido e distaccato, partendo però non dalla figura principale dello psicopatico a capo del branco, ma da una famiglia che viene coinvolta in queste vicende: una madre stressata e tre figli, con il più grande (Jamie) che subisce una violenza sessuale.
In questo ambiente grezzo e ignorante i problemi si risolvono senza l’aiuto della polizia, è quanto asserisce John, un uomo che presto si inserisce in pianta stabile all’interno della casa, diventando un padre sostitutivo per Jamie e un punto di riferimento per questa piccola comunità, grazie al suo dirompente carisma. John è anche capace di manipolare i giovani, così i figli della donna vengono coinvolti in alcuni atti minatori nei confronti dei presunti pedofili della zona: scritte omofobe sulle loro case, frattaglie di animali lasciate all’ingresso delle abitazioni e infine, in una scena controversa (comunque fuoricampo), un cane eliminato con un colpo di pistola. Questo è soltanto il primo passo per una serie di omicidi a cui assistiamo da lì a breve (uno dei quali ci viene raccontato con una disturbante peculiarità e brutalità), delitti compiuti con un lucido sadismo da questa mente perversa e dai suoi complici.
Il debutto alla regia per Justin Kurzel (finito poi lo scorso anno dietro la telecamera per “Assassin’s Creed”) si rivela un affresco intenso e potente di una provincia australiana che non è poi tanto distante da quella americana. I personaggi ambigui messi a fuoco dal film si perdono nei campi lunghi delle riprese rurali, fagocitati da un ambiente solo in apparenza tranquillo, dove i corpi prima spariscono e poi finiscono per essere rinvenuti all’interno di barili (la cronaca dell’epoca chiamò questi episodi bodies in barrels murders).
Le interpretazioni sono tutte di buon livello ed è curioso ascoltare uno slang australiano a tratti realmente difficile da comprendere (in questo caso i sottotitoli sono obbligatori), così come non è facile seguire una seconda parte più sfilacciata ed ellittica, nella quale Kurzel forse esagera un po’ con il suo approccio sfuggente e mai risolutivo. Ma “Snowtown” è un crime-drama biografico da non perdere, anche solo per il sorriso sinistro del killer, un mattatore che entra in gioco a gamba tesa, stravolgendo le sorti di questa predestinata famiglia. Sotto un cielo costantemente pallido, carico di oscuri presagi.
(Paolo Chemnitz)