Lilja 4-Ever

lilyadi Lukas Moodysson (Svezia/Danimarca, 2002)

Dopo il successo del toccante “Fucking Åmål – Il Coraggio Di Amare” (1998), il regista svedese Lukas Moodysson ritorna sul tema dell’emarginazione con una delle pellicole più controverse di inizio millennio, “Lilja 4-Ever”, un film questa volta più incentrato sull’abbandono, sulla miseria e sull’illusione della felicità, prerogative messe a fuoco attraverso la storia di una teenager costretta a fare la prostituta per sopravvivere.
Lilja vive in una non definita ex repubblica sovietica (buona parte dell’opera è stata girata in Estonia), con la speranza di partire al più presto con la mamma negli Stati Uniti. La madre però fugge via con il compagno e sparisce nel nulla: Lilja per lei è sempre stata una figlia indesiderata, così la ragazza si trasferisce in un tugurio aiutata soltanto da un amico più giovane, un ragazzino di nome Volodya, unico personaggio realmente affezionato alla sedicenne. Dopo una serie di giornate malinconiche e difficili nelle quali l’arte di arrangiarsi diventa fondamentale, per Lilja arriva l’occasione della vita, grazie a un belloccio di turno che si invaghisce di lei: egli propone alla ragazza di andare a lavorare in Svezia, ma da questo momento gli eventi prendono una piega sempre più triste e drammatica, come in ogni tragedia esistenziale che si rispetti.
“Lilja 4-Ever” è un film dedicato alle giovani vittime di abusi e sfruttamenti sessuali, un’opera che devasta il cuore nonostante una regia semplice e distaccata, lontana emozionalmente da noi e dai personaggi stessi, condannati fin dalla nascita a un destino crudele. Il paesaggio che li avvolge è una gabbia senza vie di uscita, un mare di degrado urbano disegnato dai casermoni delle periferie sovietiche e squarciato qua e là da una brusca colonna sonora che cambia marcia di continuo (si passa dai Rammstein a Vivaldi, finendo con le t.A.T.u e la techno-trance che tanto andava di moda alla fine degli anni novanta).
Lukas Moodysson riesce a farci entrare in un tunnel di squallore e disperazione, un grigio mood nel quale l’innocenza di Lilja e del suo piccolo angelo custode (scopriremo anche perché) trova pace solo nella non-vita, la ricerca di un mondo parallelo lontano dalle amarezze della routine quotidiana. Il film dimostra così di essere un disturbing drama duro e coraggioso, diretto senza grandi virtuosismi tecnici eppure capace di bucare lo schermo per molte altre prerogative, a cominciare da una coppia di protagonisti ben assortita e a proprio agio nell’interpretazione (gli attori principali sono tutti di origine russa). Peccato che il regista non sia più riuscito a ripetersi su questi livelli (il successivo “A Hole In My Heart” del 2004 si rivelerà mediocre), perché “Lilja 4-Ever” non solo rappresenta il suo vertice cinematografico, ma è anche una di quelle opere che ancora oggi – a distanza di anni – riescono a scuotere l’anima. Devastante.

5

(Paolo Chemnitz)

11lilia

 

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