di Tobe Hooper (Stati Uniti, 1976)
“Quel Motel Vicino Alla Palude” è vagamente ispirato alle vicende di Joe Ball, un leggendario serial killer che durante gli anni trenta uccise una serie di donne dandole in pasto agli alligatori. Tobe Hooper si sposta dal Texas selvaggio di “Non Aprite Quella Porta” (1974) a quello altrettanto inospitale ai confini con la Louisiana, ambientando le vicende in un lercio motel attiguo alle zone paludose, un luogo gestito da Judd, un vecchio psicopatico reduce dal Vietnam che alleva in un laghetto un coccodrillo di enormi dimensioni.
Neville Brand interpreta questo villain completamente fuori di testa, con il quale fanno i conti una serie di personaggi: prima una prostituta, poi una famigliola in crisi con figlia al seguito e infine un cowboy di nome Buck (un giovane Robert Englund) con la fidanzata, tutti costretti a lottare contro il delirio omicida del gestore.
Spesso offuscato dal successo planetario di “Non Aprite Quella Porta”, “Quel Motel Vicino Alla Palude” (“Eaten Alive” nel suo titolo originale) ha delle valide carte da giocare che lo rendono un horror di tutto rispetto, nonostante sia inferiore alle precedenti vicende con protagonista Leatherface. La fotografia satura di colori (Hooper si ispira volutamente a Bava), gli assurdi monologhi di Judd e quella costante musichetta country in sottofondo sono soltanto alcune prerogative che trasportano il film oltre i suoi meriti reali (la trama non è certo fondamentale), lasciando un senso di straniamento anche a fine visione proprio per le atmosfere completamente marce in cui siamo catapultati.
“Quel Motel Vicino Alla Palude” è l’ennesimo manifesto cinematografico di una provincia americana malata e irrecuperabile, animata da strani individui che ancora una volta sembrano covare una problematica molto più profonda rispetto alle apparenze: è il caso di Judd (questo ex soldato in realtà frustrato sessualmente) ma è anche il caso della famiglia borghese, falcidiata da dissidi interni e portatrice di un male già preesistente.
Nonostante il budget esiguo, il film riesce a colpire il bersaglio prefissato, complice questo alone veramente malsano che circonda un motel battuto da un costante bagliore rosso fuoco, quel tramonto che non sembra mai voler scendere definitivamente sulla palude. Con una discreta dose di sangue e violenza a chiudere il cerchio e quell’idea singolare del coccodrillo, un’arma supplementare mutuata sia dalla storia di Joe Ball che dall’usanza tipica di alcuni stati del sud di allevare alligatori come se fossero un’attrazione turistica. Uno spasso.
(Paolo Chemnitz)