Hellraiser

hellraiser (1)di Clive Barker (Gran Bretagna, 1987)

“Hellraiser” è una di quelle pellicole simbolo di un’epoca, un horror che nella seconda metà degli anni ottanta ha creato un immaginario di enorme potenza iconografica, sfruttato ovviamente tra alti (pochissimi) e bassi (troppi) da una serie infinita di sequel (al momento otto, alcuni dei quali veramente insulsi). Il film è basato sul racconto “Schiavi Dell’Inferno” di Clive Barker ed è scritto, diretto e prodotto dallo stesso regista britannico.
Larry e Julia si trasferiscono in una nuova casa. Proprio qui la donna, tempo addietro, aveva avuto una torbida relazione con il cognato Frank, poi scomparso. Durante il trasloco Larry si ferisce a una mano e il sangue caduto a terra fa sì che Frank – in realtà imprigionato in una mostruosa condizione di disfacimento fisico causato dall’apertura di una misteriosa scatola – riprenda vita. Julia ritrova così il suo ex amante ma in uno stato disastroso e irriconoscibile: per farlo tornare in salute egli ha bisogno di sangue, con la donna intenzionata a fornirgli delle vittime.
Il punto di forza di “Hellraiser” non solo è legato alle vicende morbose che si svolgono in quella stanza segreta, ma poggia sul fattore metafisico che trascina lo spettatore in un’altra dimensione, un inferno parallelo abitato dai Cenobiti, entità che possono raggiungere il mondo reale soltanto attraverso una rottura spazio-tempo (la quale viene aperta e chiusa grazie a una scatola, chiamata anche Cubo di Lemarchand). Chiunque entri in possesso di tale oggetto, ha il potere di creare questo passaggio, pagando però a caro prezzo (con la tortura) questa azione.
La fantasia di Clive Barker rende queste creature veramente particolari, soprattutto nel look, molto curato e indubbiamente legato all’immaginario sadomaso, tra catene, abiti neri da festino fetish e quel piacere nel dilaniare la carne dei malcapitati che ci offre anche un notevole tripudio splatter (tra i possibili titoli scelti per il film, all’inizio fu suggerito un improbabile “Sadomasochists From Beyond The Grave”). La colonna sonora è invece affidata all’allora talento Christopher Young, artefice di una composizione orchestrale più tradizionale che subentrò a quella (peraltro molto più oscura) dei Coil, la quale fu rifiutata.
“Hellraiser” è uno di quei rari horror in cui l’amore dei fan si riversa non tanto sulla storia in sé, quanto sulla presenza iconografica di un idolo incontrastato, in questo caso Pinhead. Inoltre è interessante notare una dinamica che lo stesso regista tende a sottolineare: “Nel film, il cliché della disintegrazione, della dissoluzione fisica – che costituisce un marchio distintivo della cinematografia horror – è esattamente capovolto. Qui i corpi si ricompongono, strato dopo strato”. Non solo, perché l’opera giunge in un periodo nel quale il cinema del terrore è attraversato da pellicole più ironiche e patinate rispetto al passato, una controtendenza che fa di “Hellraiser” un prodotto cupo, marcio e perverso. Ma soprattutto diverso.
Un film importante, da annoverare tra i migliori in assoluto dell’horror moderno. Pain is pleasure.

5

(Paolo Chemnitz)

Hellraiser

 

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