di Ben Wheatley (Gran Bretagna, 2011)
Se facciamo un salto nel passato esaminando la carriera di Ben Wheatley (in attesa di vedere l’action pulp “Free Fire”), ci rendiamo conto che per adesso ha sbagliato soltanto un film, “High Rise” del 2015, una complicata e pretestuosa trasposizione del celebre romanzo “Il Condominio” di J.G. Ballard. Prima ancora, il regista dell’Essex ha inanellato una serie di titoli più che convincenti: il crime movie “Down Terrace” (2009), “Kill List” (2011), la cinica black comedy “Sightseers” (2012) e l’affascinante bianco e nero dell’alchemico “A Field In England” (2013). “Kill List” è la sua opera più celebrata tra gli appassionati di cinema di genere, una robusta immersione in un thriller al cardiopalmo con elementi horror veramente brutali.
Jay e Gal sono una coppia di ex soldati, il primo reduce da una disastrosa missione a Kiev e in cerca disperata di una nuova occupazione. Durante una cena casalinga, Gal propone all’amico di diventare assassino su commissione, incoraggiato anche dalla moglie Fiona, la quale nel frattempo si reca in bagno e traccia uno strano simbolo sul retro dello specchio. Il contratto, siglato dai due uomini con un taglio sulla mano, diventa un vincolo di sangue con un’organizzazione segreta che trascina i protagonisti in una spirale sempre più oscura e inquietante. Jay e Gal ricevono una lista contenente tre nomi di persone da uccidere, ma a loro insaputa finiscono in una misteriosa rete dalla quale è impossibile venir fuori, una sensazione che emerge soprattutto grazie a una sottotrama esoterica che cammina di pari passo con gli eventi che si sviluppano in superficie. In “Kill List” bisogna essere capaci di saper cogliere questi due aspetti paralleli, altrimenti c’è il rischio di andare in confusione: i dialoghi sono fitti e bombardano di informazioni lo spettatore, mentre il plot lentamente scende sempre più a fondo nella storia, culminando con un finale maledetto che ricorda non poco le cupe suggestioni pagane viste nel classico “The Wicker Man” (1973).
Ben Wheatley aggiunge al menu un contorno disturbante (a volte davvero eccessivo), scene alquanto brutali che restano impresse nella mente anche a fine visione: l’uomo preso a martellate con il cranio fracassato è una di queste, ma pure le sequenze girate all’interno del tunnel lasciano correre dei brividi lungo la schiena, non solo per l’alta tensione generata da quei sinistri cunicoli.
Alla fine del film non tutti i conti tornano, ma questa straniante e criptica discesa all’inferno riesce a innescare la miccia in maniera imponente, anche per via di una storyline claustrofobica (dalla quale non bisogna mai sconnettersi per non perdere la bussola). In realtà non c’è molto da capire, semmai bisogna lasciarsi avvolgere da questo gioco al massacro che si conclude nel modo più angosciante e perverso possibile. E non è poco.
(Paolo Chemnitz)