Martyrs

Layout 1di Pascal Laugier (Francia, 2008)

L’horror francese del nuovo millennio ha lasciato un segno indelebile, con il prolifico biennio 2007-2008 qualitativamente molto importante. Pochi mesi dopo “Frontier(s)” e “À L’Intérieur”, fu la volta di “Martyrs”, secondo lungometraggio diretto da Pascal Laugier a quattro anni di distanza dal suggestivo ma vacuo “Saint Ange” (2004).
La storia, fin dall’incipit, sembra volerci raccontare qualcosa di raccapricciante: un bambina di nome Lucie viene soccorsa per strada mentre corre seminuda, è sconvolta ma non ricorda con esattezza ciò che le è accaduto. Con un salto temporale di tre lustri, ritroviamo la ragazza all’interno di una casa, nella quale irrompe per massacrare la famiglia che vive lì (si tratta proprio delle persone che un tempo la sequestrarono). Lucie chiama la sua amica Anna che accorre in suo aiuto per occultare i cadaveri: da questo istante in poi il film prende una piega completamente diversa, come se il regista avesse voluto spaccare in due la pellicola (in maniera neppure troppo armoniosa), perché i riflettori vengono puntati direttamente su Anna, la quale scopre un passaggio segreto all’interno di quella villetta. L’inizio di un incubo allucinante.
Nonostante “Hostel” (2005) rappresenti un punto di riferimento basilare per Laugier, “Martyrs” dimostra di possedere un’anima completamente avulsa dal contesto torture porn di stampo americano. Il film è un’esperienza mistica che trae la sua forza dalla potenza concettuale del martirio inteso come raggiungimento dell’estasi, una parabola che discende dalla tradizione cristiana nella quale il tormento generava un contatto con l’aldilà, quello stadio intermedio tra la vita e la morte che permette di comunicare con entrambe le dimensioni (terrena e ultraterrena).
Le torture, lo scuoiamento, le catene, le urla laceranti, tutto fa parte di un sadico disegno architettato da una misteriosa organizzazione che ha come obiettivo quello di scoprire cosa c’è in questo passaggio, in questo limbo nel quale le vittime restano sospese (martire significa appunto testimone). Un crescendo disturbante e malato, per un lavoro prima massacrato (dalla stampa liberale francese) e poi rigorosamente vietato ai minori, il quale grazie al passaparola degli appassionati oggi è ritenuto (a ragione) uno dei grandi horror del nuovo secolo. Non tanto per la sceneggiatura o per i pur validi lati tecnici, quanto per la filosofia di cui è portatore, un aspetto intrigante dove la sofferenza è associata al divino (“Martyrs are exceptional people. They survive pain, they survive total deprivation. They bear all the sins of the earth”).
Un’ultima sfumatura da rimarcare è la presenza di sole protagoniste femminili, un punto di vista già sperimentato dalla new wave of french horror del succitato “À L’Intérieur”, donne carnefici e donne martirizzate, quasi a voler esorcizzare la costante misoginia che spesso ricade come accusa sulle pellicole horror. “Martyrs” è la metafisica brutale del cinema di confine, un luogo di non ritorno dove il corpo abbraccia il sublime, almeno in apparenza. Perché quel finale aperto è studiato apposta per lasciarci nel dubbio. Per renderci spettatori di un’atroce irrisolutezza.

5

(Paolo Chemnitz)

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