di Abel Ferrara (Stati Uniti, 1981)
Zoë Lund è morta a soli trentasette anni per un’overdose di cocaina. Una vita spezzata dalla droga che in così breve tempo non è riuscita a valorizzare a pieno il suo talento, espresso come attrice in una manciata di pellicole tra le quali “Ms. 45” (1981) e “Il Cattivo Tenente” (1992) di Abel Ferrara, quest’ultimo da lei sceneggiato col regista.
“Ms. 45” è uno dei rape & revenge più intriganti del cinema americano, soprattutto per la timida e oscura bellezza dell’allora diciottenne protagonista, capace di trasformarsi da vittima emarginata a carnefice spietata: un ruolo perfetto per la Lund, qui nelle vesti di Thana, una ragazza muta che lavora in una sartoria. Il fatto che la giovane non possa parlare entra in netto contrasto con il caos metropolitano di una New York rumorosa e assordante, piena di gente per le strade, in un clima (quello dei primissimi anni ottanta) molto torrido per l’alto tasso di criminalità raggiunto negli States. Dopotutto Ferrara era reduce dal suo secondo lungometraggio (il primo era un porno), “The Driller Killer” (1979), ambientato anch’esso nelle luride zone malfamate di Manhattan.
Conosciuto da noi con il titolo “L’Angelo Della Vendetta” (ma preferiamo mantenere la potente denominazione originale), “Ms. 45” è un film sulla purezza che si dissolve e sul male che diventa contagioso, capovolgendo il nostro punto di vista iniziale. Thana subisce due violenze sessuali consecutive, la seconda delle quali dà inizio al suo percorso di lenta trasformazione, come un serpente che cambia la pelle. Il suo urlo silente si manifesta con la sua (in)espressività (la freddezza con la quale taglia con un seghetto il cadavere nella vasca da bagno), un grido soffocato che si tramuta in furia vendicativa contro chiunque intralci il suo cammino.
Abel Ferrara tocca anche questa volta il tema del sacro: la ragazza infatti nella scena più celebre del film è vestita da suora, in un party che suggella la nemesi di Thana (che con quell’abito incarna una figura religiosa sacrilega e aggressiva). In questo modo l’iter della protagonista giunge agli antipodi rispetto alla partenza, la sarta dimessa e impacciata prima diventa una donna mantide (il trucco provocante) e infine compie il salto conclusivo con le sembianze della signora calibro 45. Una trasformazione esorbitante, inverosimile, eppure escogitata con molta attenzione per i particolari e per i vari personaggi di contorno, testimoni invisibili di un male che si sta diffondendo a macchia d’olio. “Ms. 45” è dunque molto di più di un semplice rape & revenge, perché è un film che amplifica il raggio di azione della vittima, elevandola a musa divina oltre le sue reali possibilità. Ferrara in questo caso spinge sull’acceleratore, ma proprio la furia individuale e trasgressiva della Lund è la miccia che stravolge le regole del genere. Una pellicola da godere fino in fondo, anche solo per le deliranti immagini conclusive, dove la (notevole) regia di Ferrara si diletta nell’uso di un ralenti maestoso e sublime. Culto.
(Paolo Chemnitz)
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