di Joseph Ellison (Stati Uniti, 1979)
La locandina è ingannevole. “Don’t Go In The House” non è un horror dedicato a una casa posseduta, ma è un film nel quale la dimora raffigurata nell’immagine è solo lo spazio di azione dove si muove Donny, un uomo traumatizzato fin da quando era bambino. La madre lo puniva severamente accendendo la fiamma della cucina e lasciando ustionare le braccia del piccolo, un gesto sadico che viene raccontato in un flashback piuttosto disturbante.
Il fuoco diventa lo strumento di purificazione e di redenzione in questo slasher americano poco conosciuto che tanto deve a “Psycho” (1960) e che in alcune scene ricorda il quasi contemporaneo “Maniac” (nelle versioni bootleg che circolavano in Italia durante gli anni ottanta, “Don’t Go In The House” veniva denominato erroneamente con l’appellativo di “Maniac 2”). Perché il rapporto tra il protagonista e la madre (ormai defunta) è più che morboso: le torture subite da Donny ritornano spesso durante lo svolgimento dell’opera (addirittura in una memorabile sequenza durante un ballo in discoteca), con quella presenza oscura dentro casa che manipola indissolubilmente la psicologia deviata dell’uomo e quella fascinazione per il fuoco con la quale egli sviluppa un amore/odio per questo elemento.
“Don’t Go In The House” ha un risvolto misogino che si riversa sulle vittime malcapitate, giovani donne attirate in quel luogo per poi essere massacrate dallo psicopatico. Il primo omicidio è tra i momenti più interessanti del film e si svolge in una camera adibita per uccidere, nella quale Donny si presenta con tuta ignifuga e lanciafiamme: niente sangue, ma una fine atroce dove si muore carbonizzati. Il finale invece è surreale e ci lascia con una buona dose di inquietudine per la sua vena macabra, la chiusura del cerchio di un horror minore ma non per questo meno interessante di altri del periodo, anche perché l’aspetto psicologico è abbastanza curato e l’idea di un serial killer tormentato dalle fiamme è piuttosto malsana nel contesto in cui è inserita.
Il regista è praticamente sparito dalla circolazione dopo la realizzazione del film (ha diretto solo un dramma nel 1986), ma non sarebbe stato male se avesse avuto una seconda possibilità con il genere in questione. Perché “Don’t Go In The House” è un lavoro discreto e suggestivo (che all’epoca fece infuriare la solita patetica censura). Da vedere uncut ovviamente, nella versione dvd import britannica rilasciata cinque anni fa.
(Paolo Chemnitz)