di Bruno Dumont (Francia/Stati Uniti, 2003)
Con questo lavoro Bruno Dumont abbandona momentaneamente gli scenari rurali delle sue Fiandre francesi per tuffarsi nel deserto californiano, ambientando l’opera nei dintorni della cittadina che dà il titolo al film. Dopo due lungometraggi di alto livello come “L’Età Inquieta” (1997) e “L’Umanità” (1999), il dramma esistenziale qui viene fagocitato da un percorso ridondante ma più delineato, il quale nasconde un pericolo che si manifesta prima con piccoli segnali e poi in maniera devastante nella parte conclusiva. Lo stesso Dumont ha definito “Twentynine Palms” un horror sperimentale, in effetti una volta entrati nel mood della pellicola, è difficile non avvertire un senso di spaesamento costante, quella calma apparente che esplode in qualcosa di realmente sconvolgente per lo spettatore.
David è un fotografo indipendente che – insieme alla fidanzata Katia – lascia Los Angeles alla volta delle zone interne della California, paesaggi aridi e orizzonti sterminati nei quali i due mostrano le falle di un rapporto fragile, tra litigi e discussioni che vengono comunque mitigate dalla continua ricerca del sesso in ogni dove, un chiodo fisso a cui la coppia non rinuncia in nessun modo. La trama è piuttosto esigua e il regista, come suo solito, si concentra sui silenzi e sul fruscio dell’ambiente circostante, mettendo in risalto il sonoro, la fotografia e le inquadrature (esaltate dall’uso del campo lungo).
Il duo di protagonisti è ottimamente interpretato da David Wissak e da Katerina Golubeva, attrice dal volto tormentato (già ammirata pochi anni prima in “J’ai Pas Sommeil” e “Pola X”) e prematuramente scomparsa nel 2011 all’età di quarantaquattro anni. Se “Twentynine Palms” riesce a catalizzare la nostra attenzione è soprattutto grazie alla prova convincente dei due interpreti, entrambi in grado di rendere credibile la loro storia prima che un epilogo brutale e improvviso spazzi via ogni barlume di speranza.
All’interno della filmografia di Bruno Dumont, questa pellicola rappresenta un diversivo piuttosto particolare, capace negli anni di creare una folta schiera di ammiratori e di detrattori: noi ci allineiamo con il pensiero dei primi, poiché il film, pur nel suo esasperante minimalismo, ci sbatte in faccia uno shock impossibile da dimenticare, per giunta costruito sapientemente con il passare dei minuti. I predatori invisibili sono ovunque, il vero orrore è accorgersene quando ormai è troppo tardi.
(Paolo Chemnitz)