Johnny Frank Garrett’s Last Word

johnny frank garrett's last worddi Simon Rumley (Stati Uniti, 2016)

Il nome di Simon Rumley è legato indissolubilmente a due film che hanno lasciato il segno negli ultimi anni. Parliamo di “The Living And The Dead” (2006), una parabola angosciante sulla relazione tra una madre malata e un figlio con un ritardo mentale e di “Red White & Blue” (2010), un crescendo di follia e di disagio esistenziale in una storia ambientata nei sobborghi di Austin.
Il regista inglese torna in Texas, ad Amarillo esattamente, mettendo in scena un’opera ispirata al documentario “The Last Word” di Jesse Quackenbush, un lavoro incentrato sul caso di Johnny Frank Garrett, condannato a morte nel 1992 dopo anni di reclusione per aver stuprato e strangolato una suora nel 1981. Una delle pagine più buie della giustizia americana, in quanto il giovane fu incastrato solo da alcune impronte digitali rinvenute all’interno del convento, ma senza una certezza assoluta. Inoltre Garrett fu difeso flebilmente dal suo avvocato e fu giustiziato in seguito alle continue pressioni della comunità, che doveva trovare prima possibile un capro espiatorio.
Simon Rumley ci inoltra subito nelle vicende con un incipit molto suggestivo (notevole la fotografia virata sul giallo), seguito a ruota da un salto temporale di dieci anni nel quale ritroviamo il detenuto in punto di morte, con la barba e i capelli lunghi (la somiglianza con Charles Manson è impressionante), in attesa dell’iniezione letale. La vittima, poco prima dell’esecuzione, scrive in cella una lettera in cui maledice tutte le persone che hanno remato contro di lui, un vero anatema che a distanza di poco tempo si scaglia sui membri della giuria (resta impressa la scena del suicidio della maestra). Con la sua uccisione, il protagonista sparisce dallo schermo, ma ritorna sotto un aspetto sovrannaturale, perseguitando pure la famiglia di Adam Redman, l’unico individuo che a suo tempo cercò di difenderlo ma anche il solo uomo interessato a sbrogliare questo caso così inquietante.
La regia di Simon Rumley è riconoscibile come sempre, è densa, avvolgente e avvalorata da un montaggio che nelle magnifiche fasi allucinatorie diventa frenetico e debordante (come accadeva in “The Living And The Dead”). Ma “Johnny Frank Garrett’s Last Word” non è un film completamente riuscito e il problema va ricercato altrove: prima di tutto è un peccato vedere Simon Rumley passare dal disturbing drama (un terreno in cui è maestro) all’horror sovrannaturale, un percorso battuto neppure con troppa convinzione visto che il plot spesso è indeciso sulla strada da prendere (molte fasi dell’opera tendono al thriller investigativo, ma con scarsi risultati). Inoltre, se escludiamo la figura del condannato a morte (che sparisce fisicamente dopo una manciata di minuti), le prove attoriali del cast si dimostrano scialbe e prive di personalità, motivi che penalizzano il giudizio complessivo lasciando l’amaro in bocca. Sicuramente la bravura del regista riesce a mettere più di una pezza laddove assistiamo a queste carenze e sbavature, ma ciò non basta a elevare questa pellicola al di sopra di una striminzita sufficienza.
Non ci resta che aspettare fiduciosi l’imminente “Fashionista”, un dramma che Rumley ha girato lo scorso anno e che dovrebbe segnare un ritorno a tematiche più inclini al suo talento dietro la telecamera, oltre che in fase di sceneggiatura (qui da lui non scritta).

2

(Paolo Chemnitz)

johnny

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