L’Ultima Casa A Sinistra

thelastdi Wes Craven (Stati Uniti, 1972)

Esistono diversi film imperfetti ma fondamentali, “L’Ultima Casa A Sinistra” è uno di questi. Wes Craven, qui al suo debutto, concepì un’opera fortemente simbolica (prendendo ispirazione da “La Fontana Della Vergine” di Ingmar Bergman), tramutando gli orrori della contemporanea guerra in Vietnam nella violenza trasversale di un branco di balordi e di una famiglia borghese costretta ad affrontarli. In quegli anni, il cinema horror aveva stabilito un contatto con la realtà ormai indissolubile, allontanandosi in maniera definitiva dall’immaginario gotico fatto di castelli e vampiri ma spostandosi all’interno delle città e delle campagne, luoghi nevralgici specchio di una cronaca nera sempre più brutale e annichilente.
Mari e Phyllis sono due amiche neppure diciottenni che finiscono in trappola dopo aver chiesto ingenuamente un po’ di erba da fumare a uno sconosciuto (Junior), il quale le porta con sé all’interno di un’abitazione. Qui conoscono un certo Krug (interpretato da un superbo David Hess), un criminale psicopatico ricercato dalla polizia e costretto a nascondersi con la sua combriccola di malviventi. Dopo una notte di soprusi, il giorno successivo le ragazze vengono condotte in un bosco e qui abusate e torturate, il gruppo di delinquenti (con la polizia ormai alle costole) deve però trovare un posto per trascorrere la notte. Il destino per loro si rivela fatale: essi finiscono proprio nella casa dei genitori di Mari, che una volta scoperta la vera natura del branco lo affrontano con la sua stessa arma, quella della violenza.
“L’Ultima Casa A Sinistra” è un film shock, soprattutto nella scena dello stupro ai danni di Mari, realizzato in maniera molto realistica (con la telecamera che indugia sul volto della vittima e del carnefice). La sequenza in cui Krug incide il suo nome sul petto della ragazza con un coltello resta una delle immagini simbolo del cinema horror più estremo, una deflorazione a più riprese che sfocia nella tragedia assoluta. Nonostante lo slogan del film recitasse “to avoid fainting, keep repeating: it’s only a movie, only a movie, only a movie…”, “The Last House On The Left” (questo il titolo originale) ebbe numerosi problemi con la censura, soprattutto nel Regno Unito dove ancora oggi questo lungometraggio è praticamente bandito (edizioni home video a parte, che comunque presentano dei tagli vistosi).
Il fascino della pellicola è dovuto paradossalmente anche ai suoi difetti, a cominciare da una serie di forzature nella sceneggiatura che lasciano piuttosto interdetti, come se Wes Craven avesse voluto a tutti i costi far quadrare un plot che probabilmente stava diventando ingestibile: anche per questo motivo, restando in ambito rape & revenge (di cui questo film è un moderno precursore), successivamente si sono avvicendati titoli più validi e concreti, come ad esempio il nostro “L’Ultimo Treno Della Notte” (1975) diretto da Aldo Lado. In secondo luogo, non convincono pienamente le figure macchiettistiche dei poliziotti, così come i dialoghi e qualche banalità di fondo (l’uso del montaggio alternato) che comunque possiamo perdonare all’allora debuttante regista.
Ancora oggi, “L’Ultima Casa A Sinistra” resta un film dalla potenza indiscutibile, una riflessione sulla violenza molto più profonda di quanto si possa pensare. Il malessere americano qui trova la sua forma e la sua espressione compiuta, un sentore cinematografico pronto a dilagare con gli anni in moltissime altre pellicole specchio di un paese dilaniato dai suoi stessi orrori.

4

(Paolo Chemnitz)

thelasthouse

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