Vixen

vixendi Russ Meyer (Stati Uniti, 1968)

Russ Meyer è stato sempre avanti con i tempi. Anche nel 1968, anno cruciale per i vari movimenti di contestazione socio-culturali, il regista era già su un’altra dimensione, emancipando la figura femminile ancor di più di quanto avesse fatto in passato ad esempio con “Faster, Pussycat! Kill! Kill!”(1965). Così fu il turno di Vixen, una formosa e avvenente donna che nel film vediamo fare collezione di uomini, sposata con un marito (Tom) devoto ma costretto per lavoro a stare lontano dalla loro casa in Canada. La fanciulla si concede facilmente a chiunque possa stuzzicarla sessualmente, tra giochetti bizzarri (un pesce infilato tra le tette), scene incestuose (con il fratello) ma anche lesbo. Inoltre Vixen è razzista in maniera assolutamente esplicita, soprattutto quando si tratta di insultare l’amico nero del fratello (un certo Niles), che lei chiama con toni spregevoli Rufus.
Meyer, con uno stile qui più pop e cartoonesco, non rinuncia comunque al politicamente scorretto (le frasi razziste di Vixen sono dirette e senza fronzoli) e si rende audace nel mostrare amplessi per l’epoca ancora proibiti (il porno arriverà qualche anno dopo, ma il film già suggerisce una deriva softcore piuttosto pronunciata).
Nonostante la breve durata di settanta minuti, l’opera si può nettamente dividere in due parti: una prima più incentrata sulle scorribande sessuali della nostra simpatica ninfomane, mentre una seconda legata invece all’arrivo di un personaggio alquanto particolare in viaggio con Tom, un comunista di origini scozzesi che durante un volo con la coppia su un aereo ultraleggero, manipola Niles cercando di dirottare il velivolo verso Cuba, patria secondo lui di democrazia e uguaglianza sociale. In questo caso la tematica politica si riflette perfettamente sul periodo controverso che stava affrontando l’America (la guerra del Vietnam, l’ormai imminente passaggio di consegne tra i presidenti Johnson e Nixon, il timore del comunismo), tutte prerogative che Meyer non riesce ad approfondire in maniera adeguata ma che comunque rimbombano ancora oggi per il modo schietto e non ipocrita con il quale egli ce le spiattella sotto al naso.
“Vixen” ha rappresentato un grande successo commerciale per il regista californiano (negli anni ottanta un complesso hair metal femminile scelse il nome proprio da questa pellicola), nonostante la macchina della censura lo boicottò fin da subito: X-Rated (ovvero divieto assoluto per i minori), ventitré processi, petizioni per ritirare la pellicola dalle sale e quant’altro non misero comunque a repentaglio il passaparola tra il pubblico, attirato fin da subito dalla particolarità dell’opera e dalla bellezza prorompente di Erica Gavin, finita sul set quasi per caso e divenuta in breve tempo una delle regine in ambito sexploitation. “Vixen” è uno spartiacque importante che si impone nella delicata stagione sessantottina, divertendo e rinunciando a qualsiasi maschera perbenista, come Russ Meyer ci ha sempre insegnato. Menomale che c’era lui.

3

(Paolo Chemnitz)

vix

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