di Paul Verhoeven (Francia, 2016)
Paul Verhoeven (alla veneranda età di quasi ottant’anni!) tira fuori un colpo di coda che non ci aspettavamo, una pellicola senza punti di riferimento dove passato remoto, passato prossimo e presente si mescolano dando forma a un dramma psicologico originale, possente e disturbante quanto basta. Tutto gira attorno alla figura di una sontuosa Isabelle Huppert, fulcro assoluto e totalizzante che impera anche nel titolo: Lei, appunto, una signora di mezza età (a capo di una compagnia di videogiochi) con un figlio apatico e sottomesso, una madre istrionica e un padre psicopatico in galera per aver commesso un massacro tanti anni prima.
Un giorno Michèle (questo il nome della protagonista) subisce uno stupro violento da un uomo incappucciato entrato dentro casa, un evento che non viene denunciato ma che porta la donna a indagare per conto proprio sull’identità del misterioso assalitore. Come in un gioco tra il gatto e il topo, le carte vengono svelate lasciandoci tuttavia in quel limbo sospeso di ambiguità che ci attanaglia fin dalla prima sequenza, mentre sullo schermo si alternano diversi personaggi ognuno di essi represso per qualcosa, oltre che soffocato sia mentalmente che sessualmente (tale circolo vizioso è ben rappresentato durante la cena natalizia).
Verhoeven si dimostra eccelso nella regia e nella messa in scena, facendo esplodere il film con un tempismo da fuoriclasse e alternando dialoghi di alto livello a qualche notevole discesa nella violenza (essenziale ma potente e diretta come un pugno nello stomaco). Il ruolo della Huppert sembra stato scritto appositamente per lei, perfetta interprete di una figura femminile portatrice di una perversione compulsiva che confina, legandosi con un filo invisibile, con quella vista ne “La Pianista” (2001) di Michael Haneke, dove la stessa attrice vestiva i panni di un altro personaggio completamente deviato.
“Elle” è un lungometraggio doloroso, beffardo e cinico, nel quale la morte e il sesso vengono vissuti in un contesto multidimensionale: nella realtà e nell’aspetto ludico dei videogiochi (lo stupro virtuale cita addirittura Lovecraft). Miglior film ai premi Cesar francesi, questo ritorno di Paul Verhoeven è dunque cinema vivo e profondo, un tour de force psicosessuale che strappa la carne lasciandoci nudi tra una carezza e un pugno in faccia.
(Paolo Chemnitz)