di Meir Zarchi (Stati Uniti, 1978)
“Non Violentate Jennifer” è il titolo italiano (poco efficace, in verità) di uno dei film più importanti nel filone rape & revenge, un’opera diretta da quel Meir Zarchi che successivamente si dedicherà più che altro alla produzione che alla regia (come ad esempio è accaduto per il recente remake di “I Spit On Your Grave” e il suo sequel). La pellicola è celebre soprattutto per le scene di violenza sessuale che si susseguono per almeno venticinque minuti, un record assoluto per il cinema ma anche la causa scatenante di una serie di censure e proibizioni che per anni hanno oscurato il film, pensiamo soltanto al Regno Unito dove “I Spit On Your Grave” (preferiamo chiamarlo sempre con questo nome) ha avuto il via libera solo nel 2001, dopo essere stato inserito nella lista nera dei video nasty (in Italia invece arrivò nel 1983, ovviamente segato in più parti nelle sequenze dello stupro).
L’attrice Camille Keaton interpreta la protagonista Jennifer Hills, una scrittrice newyorkese che decide di isolarsi in una casa di campagna per dedicarsi in tranquillità alla stesura del suo primo romanzo. Il suo arrivo è notato da alcuni balordi del posto (che un po’ ricordano quelli de “L’Ultima Casa A Sinistra”) che presto le fanno visita: le sequenze di violenza sono sicuramente impressionanti per la continuità con cui sono mostrate, un incubo senza fine dal quale è difficile risvegliarsi. Jennifer però riesce a razionalizzare il trauma e organizza una vendetta matematica, meccanica, senza lasciare nulla al caso, neppure nel giro di boa dove in chiesa chiede perdono davanti alla croce prima della carneficina che sta per compiere. La seconda parte dell’opera infatti ribalta le regole (non a caso il film è conosciuto anche con il titolo di “Day Of The Woman”) e assistiamo ad alcune scene cult che sono entrate negli annali del genere (l’evirazione nella vasca da bagno è suprema).
Pur non brillando nella sceneggiatura e nei dialoghi (banali), “I Spit On Your Grave” si distingue per una messa in scena essenziale e inappuntabile e per una regia a cui bastano pochi movimenti di camera per farci entrare nel mood, inoltre l’assenza di uno score musicale riesce a mettere maggiormente in risalto quei lunghi silenzi squarciati dalle urla della donna. La fotografia è di notevole livello e i boschi del Connecticut sembrano uscire da un dipinto (molto suggestive le immagini della pompa di benzina isolata sulla strada, quasi un rimando al celebre quadro Gas di Edward Hopper), tutte prerogative che creano quell’atmosfera unica e realmente particolare attorno alle vicende della ragazza.
“I Spit On Your Grave” è pura e rigorosa exploitation, un film definito misogino dai detrattori ma in realtà femminista (la barca che gira attorno ai malcapitati come uno squalo pronto a fagocitare le prede), senza mai scivolare nel patetico. Tra i migliori esempi di rape & revenge, senza dubbio.
(Paolo Chemnitz)