di Ulrich Seidl (Austria, 2014)
Con “In The Basement” (questo il titolo internazionale), Ulrich Seidl ci svela cosa accade nelle cantine degli austriaci, ovviamente con il suo inconfondibile stile algido e documentaristico che qui oltrepassa il limite già raggiunto con le sue precedenti pellicole. Il regista (coadiuvato nella sceneggiatura dalla moglie Veronika Franz, già vista all’opera per il valido “Goodnight Mommy”) sembra infatti voler mescolare finzione e realtà, lasciandoci riflettere e facendoci porre la fatidica domanda: ma quello che abbiamo visto è vero? La risposta è affermativa, perché pur trattandosi di un film, questo “In The Basement” scava nei segreti più nascosti e reali delle persone, nella loro solitudine, nelle loro attività illecite, nella loro follia.
Ricordiamoci che proprio in Austria una donna ha vissuto segregata per ben ventiquattro anni dentro un bunker costruito dal padre: qui è stata da lui violentata a ripetizione (dai vari rapporti incestuosi sono nati sette figli). Stiamo parlando del celebre caso Fritzl, risolto solamente alcuni anni fa, un caso di cronaca nera che ha sconvolto letteralmente l’opinione pubblica.
Ma torniamo al film. Nelle varie cantine vediamo alternarsi alcuni nostalgici nazisti che brindano attorniati da cimeli (quadri di Hitler, svastiche e divise militari), poi ancora dei tossici, dei giovani annoiati, un uomo che tiene in un terrario un serpente affamato di roditori, una coppia sadomasochista (lui pulisce il cesso con la lingua e si lascia sollevare dalle palle dalla compagna mistress), una vecchia signora fuori di testa che nasconde dei bambolotti dentro dei cartoni e li culla come se fossero dei figli, il cacciatore che va fiero di tutti gli animali da lui uccisi, il collezionista di armi che addirittura ha un poligono di tiro sottoterra e così via: un campionario stravagante e in certi casi agghiacciante, dopotutto anche il nostro vicino di casa potrebbe nascondere in cantina qualcosa di insospettabile.
Ulrich Seidl – qui in un’opera meno accattivante del solito ma non per questo meno corrosiva – ci delizia come sempre con le sue inquadrature fisse e frontali, nelle quali a volte lo sguardo dei protagonisti mira dritto nella telecamera, in silenzio, come se noi stessimo là davanti a loro a osservare quello che fanno, con un voyeurismo consenziente. Il risvolto più scabroso è proprio questo: bastano soltanto ottanta minuti per farci vivere un’esperienza a tratti inquietante e disturbante, una full immersion tra i segreti più inconfessabili di una borghesia austriaca tremendamente annoiata.
(Paolo Chemnitz)
uh! segno 🙂
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