di Fabrice Du Welz (Belgio, 2008)
Quasi a metà strada tra l’ottimo “Calvaire” (2004) e l’eccellente “Alléluia” (2014), il belga Fabrice Du Welz si spostò nel sud-est asiatico per girare nel 2008 questo “Vinyan”, un film che insieme ai due succitati potrebbe far parte di una ipotetica trilogia dedicata all’abbandono.
Sei mesi dopo il terribile tsunami che devastò queste zone, una coppia benestante formata da Paul e da sua moglie Jeanne scorge in un video amatoriale un bambino, proprio quel bambino con la maglietta del Manchester United che sparì dopo la tragedia, ovvero loro figlio. Da quel momento per i due comincia una ricerca estenuante tra le isole più remote della Thailandia, spinti dalla cieca convinzione della madre e dai soldi del padre che è costretto a pagare profumatamente le varie guide e i vari informatori, tutti personaggi del luogo piuttosto ambigui. Ovviamente la situazione degenera e la coppia si ritrova ad affrontare un vero incubo ad occhi aperti.
La regia ci travolge, Du Welz usa anche la camera a mano con risultati più che apprezzabili: finiamo catapultati all’interno di luoghi oscuri e pericolosi in una crescente nevrosi che prima di tutto delinea in maniera netta la crisi evidente tra i due protagonisti, il primo (Paul) rassegnato e restio nel continuare le ricerche, la seconda (Jeanne) completamente ossessionata dalla perdita del figlio e decisa a ritrovarlo ad ogni costo. Su questa fragilità coniugale agiscono i personaggi di contorno, approfittandosene di una serie di debolezze che presto danno vita a un’escalation di eventi raccapriccianti. Al contrario di “Calvaire” (paranoia e malattia mentale causate dalla perdita) o “Alléluia” (la gelosia morbosa per paura dell’abbandono), “Vinyan” si dipana in maniera meno perversa e più criptica, soprattutto nella seconda parte, nella quale emergono inquietanti ragazzini indigeni che si muovono come ombre e ci ricordano addirittura le figure primordiali presenti nei celebri cannibal movie nostrani.
“Vinyan” si dimostra dunque il lungometraggio meno diretto tra quelli succitati di Du Welz, ma senza dubbio è il più cupo e mortifero del lotto (non mancano le scene forti), a cominciare dall’incipit che ci mostra delle bollicine rosso sangue sott’acqua come chiaro riferimento alla devastazione dello tsunami. In attesa del noir urbano di prossima uscita “Message From The King”, è giusto rivalutare un lavoro meno conosciuto e purtroppo passato in sordina anche al Festival di Venezia del 2008, anno della sua uscita: “Vinyan” è un altro signor film di un regista che in questa sede apprezziamo non poco.
(Paolo Chemnitz)