American Guinea Pig: Bloodshock

13528891_1130608057002064_5257391624371037484_ndi Marcus Koch (Stati Uniti, 2015)

Tendenzialmente gli horror dove si vedono solo torture rischiano di annoiare a morte. Ovviamente ci sono le eccezioni, prima di tutto alcuni film della celebre e infame serie giapponese “Guinea Pig” (i primi due, ma soprattutto il triste e malato diversivo “Guinea Pig: Mermaid In A Manhole”), opere aiutate anche da un minutaggio ridotto e da effetti speciali da urlo. Proprio a queste pellicole è ispirata la risposta americana ideata da Stephen Biro, il boss della Unearthed Films. Si tratta di una tetralogia (almeno per ora) composta da un primo capitolo piuttosto soporifero (“American Guinea Pig: Bouquet Of Guts And Gore”), dal film in esame (scritto da Biro ma diretto da Marcus Koch) e da due ulteriori lungometraggi in fase di produzione (“American Guinea Pig: Sacrifice” e “American Guinea Pig: The Song Of Solomon”).
Qui fin dall’inizio notiamo che c’è qualcosa di diverso: Koch gira in bianco e nero sbattendoci in faccia un mood altamente straniante, sottolineato dalla musica ambient (contaminata con un certo rumorismo noise) e da un quasi onnipresente metronomo che sembra scandire impietosamente le torture a cui è sottoposto il protagonista (inutile fare l’elenco, c’è l’imbarazzo della scelta!). Gli effetti sono realizzati con cura ma l’elemento più importante dell’opera è la presenza di una seconda vittima, con la quale l’uomo interagisce grazie a uno scambio di biglietti che avviene attraverso una fessura tra le due prigioni asettiche e spoglie che li separano. In pratica un abbozzo di trama, che lentamente si insinua sotto la pelle fino a far esplodere il film negli ultimi venti-trenta minuti di visione. Se infatti dopo un’ora avremmo potuto considerare questo “American Guinea Pig: Bloodshock” un discreto lavoro con notevoli punte di alienazione, al termine della visione la valutazione cresce di spessore grazie a una delle scene più scioccanti e intense viste negli ultimi anni, supportata dall’utilizzo del colore sullo schermo e da un clamoroso triangolo di sangue, sesso e morte. Un epilogo a dir poco struggente, malsano e addirittura romantico, che trasforma la pellicola in un ottimo diversivo in ambito torture porn.
Complimenti sinceri alla coppia Koch/Biro, le due menti diaboliche dietro questo film assolutamente da non perdere se siete appassionati di cinema estremo underground americano.

4

(Paolo Chemnitz)

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