di Achim Bornhak (Germania, 2015)
C’è un filo sottile che collega “Der Nachtmahr” al celebre “Donnie Darko” (2001), un incubo (come suggerisce il titolo) che si muove in bilico tra realtà e fantasia, sensazioni che se nel film di Richard Kelly poggiavano sulla dicotomia tra il protagonista Jake Gyllenhaal e un inquietante coniglio nero, qui rivivono sul rapporto tra la giovane Tina e una sorta di mostriciattolo alieno che le appare tra i cespugli, dentro casa o sopra il letto (tanto per farci ricordare di un altro nachtmahr, quello del famoso dipinto di Johann Heinrich Füssli).
Passato lo scorso anno sugli schermi del Festival di Locarno e poi finito un po’ nel dimenticatoio (se escludiamo l’area teutonica), questo film segna il salto di qualità per Achim Bornhak detto Akiz, regista, pittore e scultore tedesco che proprio a Berlino ha voluto ambientare questa storia. Qui appunto non ci muoviamo nella grigia provincia americana, ma in una metropoli dove la notte si esce e si finisce nei rave, tra luci strobo, musica techno e quella percezione di trovarsi continuamente all’interno di un videoclip. “Der Nachtmahr” a tratti stordisce e disorienta, ma alterna sapientemente il rumore al silenzio, due facce della stessa medaglia che convivono nella mente di Tina, una ragazza disturbata che vive quel disagio alienante insito nelle nuove generazioni perse nelle ragnatele urbane. Quando le appare questa creatura (che non è affatto spaventosa, anzi risulta addirittura simpatica), nessuno le crede e le sue urla si perdono nella diffidenza, nella mancata comunicazione con la famiglia e con chiunque la possa aiutare.
“Der Nachtmahr” attualizza certe tematiche già trattate in passato dal cinema di confine e lo fa inserendo al suo interno tanta musica, lo sballo e la solitudine di un mondo dove anche il rapporto con il fidanzato di turno sembra effimero e impalpabile. Una visione consigliata, per una storia comunque semplice e non del tutto trascinante, incastonata nella solita eccessiva rigidità formale tipica di alcune pellicole tedesche.
(Paolo Chemnitz)